L’educazione all’affettività e alla sessualità è un’azione delicata e complessa che si sviluppa nel tempo e nell’accompagnamento dei ragazzi e delle ragazze. E questo vale per tutti, a maggior ragione quando parliamo di ragazzi, e anche adulti, con disabilità. Il corso online “Anch’io so voler bene: affettività e sessualità nella persona con disabilità”, promosso dai Servizi nazionali della Conferenza episcopale italiana per la pastorale delle persone con disabilità e per la tutela dei minori e adulti vulnerabili, ha espressoun percorso formativo per non lasciare soli tutti i soggetti coinvolti: referenti diocesani, familiari, operatori, caregiver e, naturalmente, le persone stesse con disabilità.Un cammino in dieci appuntamenti, ogni mercoledì sera, dal 24 gennaio al 27 marzo, sviluppato con un approccio multidisciplinare di esperti dalle diverse competenze che ha visto la nutrita e convinta adesione di centinaia di partecipanti per tutto il percorso: “Questi dieci incontri hanno aperto un mondo, che fino a ieri per me era conosciuto marginalmente, di questo vi ringrazio”.
Le psicologhe Elisabetta Cimatti e Arianna Consiglio, il teologo moralista padre Maurizio Faggioni, l’avvocato Maria Suma e il presidente dell’associazione Meter, don Fortunato di Noto, si sono avvicendati nelle settimane per raccontare chel’educazione affettiva e sessuale non è un’esperienza che si possa improvvisare, ma è un’azione di grande responsabilità da compiere con delicatezza.Per guidare all’affettività e non alla sola soddisfazione di un bisogno è importante partire da quegli aspetti che, tecnicamente, si chiamano i fattori protettivi di un sano sviluppo, anche sessuale. E che prevedono il mettere in gioco tutti quegli elementi che ci caratterizzano come esseri umani. “Quando io parlo con i ragazzi – ha spiegato Cimatti – dico sempre: non puntiamo a un gioco al ribasso, ma a educarci all’affettività e alla sessualità dell’homo sapiens tutta intera, che non coinvolga soltanto l’aspetto istintuale, ma anche tutte le altre dimensioni”.
Evidentemente non è possibile non considerare il contesto sociale culturale in cui viviamo, che influenza anche il modo di “costruire le carezze, di scambiarle, costruire quelle buone”.Alla base, le preoccupazioni espresse dai genitori sono universali: “Come fare ad evitare che mio figlio guardi o riceva materiale pornografico via WhatsApp?”, ha scritto una mamma nella chat; “In che modo posso tutelare mia figlia da persone che potrebbero approfittarsi della sua fragilità?”, ha scritto invece un padre.
L’intervento educativo si conferma sostanziale, perché interviene a supporto e aiuta ad integrare con la consapevolezza la parte più pulsionale, emotiva, che tende a prevalere tra gli adolescenti. Tutti.
Una missione difficile da compiere, in ogni condizione, e che diventa sfidante con ragazzi e ragazze con disabilità, che, da un lato, non hanno chiara la separazione tra pubblico e privato e, dall’altro, sono spesso “percepiti” solo nella loro condizione fisica o psichica:“I nostri ragazzi a scuola non vengono visti con le loro esigenze emotive, ma sempre come dei ragazzi asessuati”,ha scritto un’altra mamma.
Ma dall’invisibilità all’abuso il passo è breve. Come efficacemente spiegato da Consiglio e Di Noto, i pericoli di abuso aumentano considerevolmente per le persone disabili, costrette a dover dimostrare, per essere credute, di essere capaci di intendere e di volere: “E molto spesso sono gli stessi familiari a non prestare fiducia alle loro parole”. È importante avere ben chiara la tutela della sfera sessuale della persona disabile da parte dell’ordinamento, che, ha ricordato l’avvocato Suma, prevede interventi ad hoc. E quando si prende in carico un ascolto di vissuti drammatici, l’operatore vi si deve calare con attenzione, rispetto e senza mostrare segni di scandalo: “Ricordiamolo, sono bambini, persone, non solo esempi di studio”. Laddove va ricostruito, con pazienza e prossimità, quel tessuto lacerato della fiducia, perché “nella relazione avviene il danno, nella relazione avviene la cura”.
Infine,non aver timore, anche nella Chiesa, e come Chiesa, di parlare di questi temi,ha ribadito padre Faggioni, ricordando come spesso nelle famiglie ci si trovi a non avere gli strumenti giusti per approcciare determinate situazioni, “specialmente quando da parte dei familiari non si ha la consapevolezza o si affronta il problema con faciloneria”.
Dai partecipanti sono arrivate le esperienze personali più forti e più belle, che dicono di una dimensione preziosa, da salvaguardare. Ne riportiamo due, piene di speranza.
“Con la collega psicologa – ha raccontato un’assistente sociale – ci stiamo facendo carico di accompagnare due persone con disabilità che si sono innamorate. Ad una uscita ci hanno fermate un gruppo di giovani, che erano loro vicini di tavolo, felici di aver assistito a momenti di spontanea e pulita tenerezza, colpiti dalla bellezza”.
“Lascio questo percorso più ricca sentimentalmente e culturalmente… – scrive un’anonima – nonostante sia una persona con disabilità ci sono tante cose che non so, perché ovviamente non conosco tutte le disabilità esistenti. Per cui vi ringrazio e sarò felice di partecipare a corsi di altri tipo… è importante confrontarsi, discutere di certi argomenti e aprire dibattiti con più persone possibili…per avviarsi verso il cambiamento”.
Una porta è stata aperta, ora serve continuare.