DIOCESI – Lectio delle Sorelle Clarisse del Monastero Santa Speranza di San Benedetto del Tronto.
L’apostolo Giovanni, nella sua prima lettera alle comunità dei cristiani, afferma con decisione: «Figlioli, non amiamo a parole né con la lingua, ma con i fatti e nella verità […] Questo è il suo comandamento: che crediamo nel nome del Figlio suo Gesù Cristo e ci amiamo gli uni gli altri, secondo il precetto che ci ha dato».
Sono parole chiare che non avrebbero bisogno di commenti: il comando di Dio, l’unico e grande comando di Dio, è che amiamo, senza eccezione, tutti coloro che il Signore ci mette sulla strada.
Non con la lingua, che sa sempre trovare bellissime parole nel descrivere l’amore e i mille modi di amare, forse nell’illusione di aver adempiuto al comandamento della carità. Perché le parole non costruiscono pane e neppure giustizia e pace.
Ed ancora più urgente è che questo stesso amore sia nella verità. Amare veramente non è solo donare il proprio cuore, ma donarlo nel modo giusto, per il vero bene della persona che abbiamo davanti.
È un cammino impegnativo, con tante difficoltà, insidie.
Ci viene in aiuto Gesù, con parole che non sono solo un insegnamento, ma un fatto e una verità.
La pagina evangelica di oggi, infatti, ci presenta una piccola parte del discorso con il quale Gesù si congeda dai suoi amici più intimi, dai suoi apostoli, prima della sua passione.
Gesù si congeda con una raccomandazione, che è anche un imperativo: «Rimanete in me…». Quello che Gesù chiede ai discepoli è che si mantengano fedeli e saldi in quello che hanno imparato e vissuto accanto a Lui. La condizione essenziale, affinché la nostra vita porti frutto, sia testimonianza concreta, fattiva, vera di amore, è la comunione vitale con Gesù. È così che si impara ad amare, si diventa simili all’Amante.
Ma Gesù continua: «Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me e io in lui, porta molto frutto».
Il rapporto tra la vite e i tralci è bidirezionale, a due vie: Gesù è la vite e, senza di noi, tralci, non fa uva. E noi, senza di lui, non possiamo fare nulla. Senza la sua Parola che ci pota, il sovraffollamento del nostro cuore e della nostra mente prenderebbero il sopravvento, portandoci ad essere inconcludenti, inquieti senza speranza, tutti protesi a difenderci e dimentichi del fascino di donarci e amare. Costa fatica essere attaccati alla sua Parola, proprio perché tende a spogliare, a buttare via quello che non serve. Ma questa è la regola segreta della vita, la bellezza spaventosa della leggerezza.
Un attaccamento, una leggerezza che, però, ci riservano tanto. Infatti Gesù continua dicendo: «Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto».
Se dimorate in me, cioè se la nostra vita diventa prolungamento di quella del Signore, se diventiamo una manifestazione visibile del suo amore, se orientiamo con lui la nostra vita al servizio degli altri, se con lui e come lui vogliamo, facciamo il bene unicamente per la gioia di fare il bene, se con lui e come lui anticipiamo il perdono prima che ce lo chiedano, nei limiti che abbiamo, negli sbagli che facciamo… «chiedete quello che volete e vi sarà fatto».
L’amore di Dio attraverso il nostro amore, il perdono di Dio attraverso il nostro perdono! Questo potenzia la nostra esistenza!
Lo testimonia anche Luca nella prima lettura, tratta dal libro degli Atti degli Apostoli, quando scrive delle prime comunità cristiane. Luca scrive di una Chiesa in pace, certo non esente da persecuzione, ma esperienza di salvezza, di quella pienezza di vita esplosa con la resurrezione; una Chiesa in cammino dietro il Signore, una Chiesa che cresce di numero, contagiosa nella missione.
«In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli».
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