“Nella mia vita lo sport è stato un cammino di scoperta personale, di realizzazione e di connessione col divino”.
Inizia così la testimonianza di Arturo Mariani, atleta paralimpico, alla presentazione, stamani, del convegno internazionale su sport e spiritualità – “Mettere la vita in gioco” – in programma dal 16 al 18 maggio per iniziativa del Dicastero per la cultura e l’educazione e l’Ambasciata di Francia presso la Santa Sede.
“La mia storia inizia ancor prima della mia nascita, quando i miei genitori ricevettero la notizia che sarei venuto al mondo con una sola gamba, e altre possibili malformazioni. La loro decisione di accogliere la mia vita così com’era, senza riserve o rimpianti, ha posto le basi del mio rapporto con l’affidamento e la fiducia in un disegno superiore. Questo atto di fede e accoglienza ha plasmato il mio approccio alla vita, e quindi allo sport; insegnandomi che ogni sfida può essere trasformata in un’opportunità per crescere e superare i propri limiti”, ha raccontato Mariani. Nel tempo, ha proseguito, “mi sono chiesto spesso se fossi solamente ‘Arturo, quello senza una gamba’, ‘Arturo, disabile’”, ma partendo dall’inizio del Vangelo di Giovanni “In principio era il verbo”, “per me – racconta –, quel verbo è sempre stato l’idea del nostro essere; la nostra sostanza: l’idea che possiamo esistere solo nel momento in cui comprendiamo chi siamo. Su un campo da gioco e non solo. E così, con fiducia e abbandono totale ho potuto comprendere nel tempo, grazie alla fede, che il linguaggio poteva essere alla base del mio percorso sportivo, e di vita”.
Oggi “sono ‘Arturo con una gamba’” e ho proposto la parola probabilità per cambiare la percezione delle persone riguardo il concetto di disabilità. ‘Pro’, e perciò a favore delle abilità uniche della persona, e non più ‘Dis’ che porta distinzione, separazione, esclusione”.
“Sono felice che oggi questo concetto sia diventato reale con l’Academy Proabile: un’isola felice dove tutti possono esprimersi attraverso lo sport, in base alla loro condizione psicofisica, dove si può incontrare l’altro come compagno di squadra, come avversario, ma soprattutto come persona unica e parte di una comunità, di un insieme più grande. Se lo sport ci aiuta a capire chi siamo, giocare e allenarci può diventare una forma di preghiera, nel momento in cui ci permette di esprimerci con semplicità e unicità puoi esprimerti senza filtri, con divertimento, con dedizione, come si fa per il gioco, con regole e valori. È così che ho realizzato il mio sogno impossibile di giocare a calcio, entrando a far parte della Nazionale italiana di calcio amputati, disputando un mondiale e un europeo. E oggi – ha proseguito – giro il mondo: tra scuole e parrocchie, giovani e adulti, per ispirare gli altri a vivere una vita piena, con gioia e fede, anche attraverso lo sport”. “Quando mi trovavo sul campo da calcio, non ero solo un giocatore, ma parte di una danza cosmica in cui ogni passo, ogni dribbling, ogni gol, era una connessione più grande In quei momenti di completa armonia con il presente ho sperimentato una connessione profonda con il creato, sentendomi parte integrante di un disegno più grande di me stesso. Una sensazione – ha concluso Mariani – che non ha assolutamente eguali”.
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