Di Pietro Pompei
SAN BENEDETTO DEL TRONTO – Quando la vita sale di numero, rituffarsi indietro c’è il rischio di precipitare, tuttavia negli anni in cui l’incedere dovrebbe essere pacato e misurato, l’unica ebbrezza di rischio la si prova nel tornare voluttuosamente a quegli anni e a quei fatti che ora sono diventati storia. Chi parla più di scuola serale per adulti? Siamo negli anni cinquanta-sessanta e mi ritrovo nelle aule della scuola elementare del Paese Alto ad insegnare il leggere, lo scrivere e il far di conto, sullo stesso banco, a babbi e figli, funai, che dopo una giornata faticosa, in quell’andirivieni tra canapa e spago, tentavano di rimediare al vuoto culturale che la miseria non aveva permesso di colmare. Che esperienza da povero maestrino, buttato lì ad acquistare punti per una graduatoria.
E fu lì che incontrai il Direttore Liburdi che spesso veniva a verificare il nostro lavoro e a dare consigli. I suoi suggerimenti erano preziosi, ci consigliava di lasciare da parte tutto il nostro sapere libresco e partire dall’esperienza dei soggetti che avevamo di fronte. Non voleva componimenti dai titoli assurdi, come si continua talvolta ancora a scuola, ma tratti da quell’umile lavoro. “La storia- mi diceva- sta scritta sulla terra che calpesti; pensa-aggiungeva-quante cose possono dire quei viottoli tracciati lungo il fosso (l’Albula) o lungo le diverse strade, da una vita percorsa più a camminare all’indietro che avanti. Aiutali- concludeva- a risollevare la testa, perché altrimenti non sapranno neppure di essere vissuti”. “Partire da dove si vive”, questo era il motto del Direttore Liburdi, specialmente nella scuola dove spesso ci si astrae. Di questo insegnamento resta una testimonianza nel giornale che la “scuola Moretti” pubblicava dal titolo quanto mai veritiero: “All’ombra del Torrione”. Lì veniva valorizzato il dialetto, con la pubblicazione di varie poesie dei più noti e non poeti dialettali; lì gli avvenimenti di storia patria si mescolavano con quelli dei personaggi della nostra città; la geografia iniziava apprendendo i nomi dei torrenti e delle colline d’intorno; l’italiano assumeva il tono dell’epica locale, specialmente negli scritti della signora Giulia Giovannelli-Liburdi. E c’era un “Grillo parlante” a dar consigli di vita pratica.
Nella ristampa del libro “Per una storia di S.Benedetto del Tronto”, nell’introduzione affidata al prof. Sergio Anselmi si legge: “Non sono molte le cittadine italiane che possono vantare un istoriografo come Enrico Liburdi , un uomo generoso e studioso, insigne, suscitatore di energie, educatore e disinteressato «patriota» dallo stile liberale, angosciato dalla crisi del «buon governo»”.
La nostra città non può dimenticare uno studioso, come il Direttore Enrico Liburdi, che ha dato prestigio alla nostra storia e non celebrare degnamente il 40mo della sua morte.