SAN BENEDETTO DEL TRONTO – Si è svolto Lunedì 6 maggio, alle ore 21:00, presso il teatro “Don Marino”, nei locali della Parrocchia di Cristo Re in Porto d’Ascoli, un incontro con il teologo e scrittore Paolo Curtaz, autore del libro “La Chiesa che faremo” (Edizioni San Paolo). L’evento, moderato da don Dino Pirri, ha registrato la partecipazione del parroco don Gian Luca Rosati, di altri sacerdoti della Diocesi di San Benedetto del Tronto – Ripatransone – Montalto e di numerosi fedeli, alcuni dei quali provenienti anche dalle comunità limitrofe.
L’illustre relatore ha affrontato con coraggio ed una buona dose di ironia alcune questioni fondamentali che riguardano oggi la comunità cristiana, soffermandosi sui quattro pilastri sui quali essa poggia. “La Chiesa è come una sedia che si regge su quattro piedi. Il primo è la Didaché, ovvero l’insegnamento degli Apostoli. Il secondo è la koinonia, ovvero la comunione. Il terzo è la Preghiera personale e comunitaria, quindi la liturgia. Il quarto è la Diakonia, il servizio ai poveri. Senza una di queste gambe, la sedia non sta su”.
Per quanto concerne il primo aspetto, Curtaz ha detto: “La Didaché è l’insegnamento degli apostoli, la formazione. Io non credo in Dio, credo nel Dio che Gesù è venuto a raccontarmi. Nel Credo diciamo: ‘Credo nella Chiesa: una, santa, cattolica, apostolica’. Anche se a volte ce lo dimentichiamo, la nostra fede è apostolica, cioè fondata sul racconto di quei dodici ‘scappati di casa’ (ndr gli apostoli). Io, quindi, mi fregio, mi vanto e lotto per appartenere ad una fede apostolica. E chi garantisce questa fede? La continuità apostolica dei vescovi. Questa è la didaché, l’insegnamento degli apostoli. Belle le devozioni, custodite e conservate e magari valorizzate; ma se non c’è la formazione, la voglia di capire e di approfondire, non andiamo da nessuna parte”.
Sulla Koinonia, ovvero la comunione, il teologo ha affermato: “Mi viene spontaneo citare il Vangelo di Domenica scorsa: ‘Da questo sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici’. Voi siete amati, tu sei amato. Tutti noi, da bravi cattolici, siamo abituati a pensare che, se mi comporto bene, sono amato. Sbagliato! Quello lo dicono i genitori per far comportare bene i bambini. Dio invece ci ama a prescindere. Non mi ama perché sono buono; ma, amandomi, mi rende buono. Questo è il succo del Cristianesimo. L’amore non è uno spot o una meta, bensì è un’origine, una sorgente“. Curtaz ha sottolineato che questo amore va messo nelle relazioni in ogni occasione, anche nei confronti – talvolta duri – che ci possono essere tra le persone e ha consigliato di leggere gli Atti degli Apostoli per trovarne alcuni esempi, come quello di Pietro e Paolo.
In merito alla Preghiera, l’illustre relatore ha dichiarato: “La preghiera personale è importantissima. Non so voi, ma io, se non facessi almeno un quarto d’ora di preghiera al giorno, non ce la farei a mantenere la fede. Ha perfettamente ragione don Fabio Rosini, il quale afferma che oggi come oggi il protocollo richiede un quarto d’ora di preghiera al giorno, un’ora alla settimana di Messa e una settimana all’anno. Il ritmo di vita che abbiamo non ci permette questo. Mio nonno, che era ateo e anarchico e faceva l’agricoltore, all’ora di pranzo smetteva di lavorare per pregare: al suono delle campane che rintoccavano a mezzogiorno, lasciava il lavoro e si fermava a pregare. Il suo ritmo di vita era pieno di fede. Il nostro?”
Sul quarto ed ultimo pilastro che regge la Chiesa, la Diakonia, ovvero il servizio ai poveri, Curtaz ha detto: “Credo che la Caritas sia uno dei più bei frutti della Chiesa italiana degli ultimi trent’anni. Checché se ne dica, alla fine, in un territorio, se hai dei problemi, ti rivolgi alla parrocchia. Questa parte della Chiesa è forse la più credibile“.
Sollecitato dalle domande di don Dino Pirri, Curtaz ha poi parlato delle sfide a cui la Chiesa Universale e Locale è chiamata, come il sinodo, le varie esperienze delle Chiese Europee e le difficoltà dei cristiani ad adattarsi ai cambiamenti. “L’Italia, all’interno della Chiesa – ha detto lo scrittore valdostano -, è un’anomalia mondiale, perché noi abbiamo un numero di vescovi e di Diocesi che è trenta volte maggiore di quello degli altri Paesi al mondo. La storia ci ha portato a molte divisioni, ma quello che Papa Francesco e i suoi predecessori, Papa Benedetto XVI e Papa Giovanni Paolo II hanno cercato di fare negli ultimi anni è di far diventare l’Italia come il resto del mondo, riportandoci a come era all’origine, fino al IV secolo d.C., quando l’intero Nord-Ovest era sotto un’unica Diocesi. La Chiesa infatti si organizza in funzione della necessità. Le strutture seguono quello che è il bisogno del momento. La prima parrocchia della storia dell’umanità si è venuta a trovare davanti ad un problema incredibile: per diventare cristiani bisognava prima essere Ebrei? Ovvio che sì! Gesù era ebreo, Maria era ebrea, tutti gli Apostoli erano ebrei, tutta la comunità cristiana era ebrea. Ma, Paolo, che domanda fai?! – ha scherzato Curtaz – Ad un certo punto, però, lo Spirito ha deciso altro. Pietro con Cornelio, il turco Saulo, Filippo, Paolo e Barnaba. Nasce così il primo Concilio della storia della Chiesa e alla fine i cristiani di allora prendono una decisione bellissima: ci saranno due modi di vivere la fede cristiana. Coloro che sono Ebrei continueranno a rimanere Ebrei, a rispettare tutte le Leggi di Mosè e in più crederanno che Gesù è il Messia; coloro che non sono Ebrei, che non sanno chi sia Mosè, partiranno da Gesù. Ma, per non creare disagio, quando siamo a tavola, evitiamo di fare cose sconvenienti, rispettando gli amici pagani. Se non avessero deciso così, oggi la Chiesa sarebbe una piccola setta e noi non saremmo qui. Quindi mi rendo conto che sia faticoso e complesso a volte superare certe abitudini, ma diamo priorità alla Spirito, a quello che il Signore ci vuole dire. Sul cambio di vescovo, vi riporto quello che disse un prete valdostano in una situazione simile. Dopo aver ascoltato i ‘pettegolezzi’ di tutti i preti sul nuovo vescovo che stava per arrivare, a chi gli chiese cose ne pensasse lui, egli rispose: ‘Io penso che qualunque vescovo verrà, non ci impedirà di diventare santi’“. E ancora sullo Spirito: “La resistenza allo Spirito mi rattrista e mi spaventa molto. Abbiamo una religiosità bella, santa, ma, se non ci porta alla verità tutta intera, rischiamo di soffocare lo Spirito e, come dice San Tommaso, ‘Temo il Signore che passa’“.
Divertente, ma altamente significativo, un episodio che Curtaz ha raccontato: “Nel 1990, insieme ad altri studenti teologi, ho vissuto un’esperienza missionaria di tre mesi in Brasile. Un giorno andammo con un missionario in un luogo nel cuore dell’Amazzonia, un luogo in cui era solito andare una volta ogni sei mesi e lì ebbi la gioia di vivere la Messa più bella e più lunga della storia dell’umanità! Facemmo Battesimi, Comunioni, Matrimoni. E il missionario ci spiegò che c’era gente che aveva fatto due giorni e due notti di viaggio in piroga per venire a quella Messa. Quando sono rientrato in Italia, quattro mesi dopo, mi trovai in servizio a Courmayeur e, alla vigilia dell’Immacolata, il parroco mi chiese di rispondere al telefono. Mi chiamò una signora per sapere l’orario delle Messe e io le risposi che ce n’erano molte: al prefestivo alle 17:00, alle 18:30, alle 19:30 e alle 20:30; al festivo invece alle 8:00, alle 9:00, alle 10:00, alle 11:00, alle 12:00, alle 17:00 e alle 18:30. Quale fu la risposta della signora? ‘Non ce n’è mica una alle 16:00?’“.
Bello, nel senso etimologico del termine, ovvero che attrae, il modo di Curtaz di interagire con la platea: tanta ironia e soprattutto tanti interrogativi. La Chiesa insegnata dagli Apostoli di cui ha parlato Curtaz, una Chiesa capace di custodire il dono della fede e al contempo di rinnovarsi secondo il discernimento ispirato dallo Spirito, non è “una Chiesa in cui si discute a che età conferire un Sacramento o quali siano i vestitini più adatti per i bambini della Prima Comunione – ha detto -, bensì una Chiesa che si occupa e preoccupa dell’evangelizzazione. In tutti questi anni ho partecipato ad una moltitudine di Consigli Pastorali e ho visto discutere molte persone su tanti argomenti, ma mai nessuno sull’efficacia dell’evangelizzazione. Vogliamo dare un peso giusto alle cose veramente importanti?“.