Felice Accrocca
Fu Bonifacio VIII a dare origine al Giubileo cristiano. Tuttavia, l’idea non nacque nella mente del Pontefice e neppure in quella dei suoi stretti collaboratori. Grazie al Libro sul centesimo anno o Giubileo, del cardinale Jacopo Stefaneschi, possiamo infatti conoscere gli antecedenti della decisione che spinsero infine Papa Caetani a concedere al mondo la “pienissima” remissione dei peccati.Grazie a lui sappiamo che una voce affiorò e corse tra il popolo: il chiudersi dell’anno centesimo avrebbe portato con sé la promessa di un’indulgenza “pienissima”. L’attesa c’era già, viva, in prossimità del compiersi del secolo. Mancava la scintilla a far scoppiare l’incendio. “E la meraviglia è questa: quasi per tutta la durata del primo gennaio – riferisce lo Stefaneschi – rimase nascosto il segreto della nuova remissione; ma, al declinare del sole, verso sera, fin quasi al silenzio profondo della mezzanotte, i romani ne vennero a conoscenza: ed ecco il loro accorrere in folla alla sacra basilica di S. Pietro”.
L’ipotesi, affacciata dallo Stefaneschi, che sia stato qualche predicatore a parlare dell’indulgenza è certamente plausibile, tuttavia non so se si debba pensare a un “sermone mattutino tenuto nella basilica” o piuttosto a qualche predicatore itinerante per l’Urbe, ché non si spiegherebbe come mai, lanciato l’appello al mattino, la voce avesse cominciato poi a diffondersi solo al declinar del sole. E, si sa, certe voci hanno potere di diffondersi tra il popolo con la stessa rapidità con cui le scintille si propagano su un campo di stoppie:“Con questi inizi incominciò di giorno in giorno ad accrescersi la fede e la frequenza di cittadini e forestieri”. Non dall’alto, dunque, ma dal basso la voce prese corpo. E, una volta partita, niente e nessuno riuscì più a fermarla.La domenica successiva all’ottava dell’Epifania, che in quell’anno cadeva il 17 di gennaio, la folla fu dunque particolarmente numerosa a causa della prevista ostensione della Veronica.
Bonifacio VIII non voleva però arrendersi; chiese allora “il parere del Sacro Collegio”: “Al quesito fu data, per i meriti degli apostoli, risposta favorevole”. Si giunse così alla decisione dell’indizione giubilare, resa pubblica, con la lettera Antiquorum habet fida relatio, il 22 febbraio del 1300.La data prescelta, giorno della festa della Cattedra di san Pietro, non era certo casuale, in quanto era “nella pienezza dell’autorità apostolica” (plenitudo potestatis) che il Pontefice – così nella lettera – concedeva “il perdono non soltanto pieno e abbondante, anzi pienissimo di tutti i peccati”.
Accogliendo la richiesta popolare, il Papa, nella sua plenitudo potestatis, si presentò al mondo come magnanimus pontifex, unico detentore di quelle chiavi che sole potevano aprire lo scrigno che racchiudeva il tesoro della Chiesa. Il Giubileo del 1300 costituì così un momento apicale del pontificato bonifaciano, e certo restò viva, nell’animo dei testimoni, la grande fiumana dei pellegrini, che si dirigeva verso Roma come alla meta lungamente agognata e che, al contatto con l’Urbe, con le sue chiese, i suoi monumenti, con le sue stesse superbe rovine, percepiva la traccia di una memoria secolare e grandiosa di cui si sentiva parte, anche solo per un momento.
Fu, dunque, come scrisse Arsenio Frugoni, “l’ultima prova del grande papato medievale”.