Di Andrea Zaghi
“Il comparto agroalimentare ha ruolo e peso cruciale nella nostra economia. Per la quantità di ricchezza che produce e che redistribuisce attraverso il lavoro. Per la sua qualità – che è parte di rilievo della qualità e del gusto italiani – e che concorre all’identità e alla cultura stessa del nostro Paese”. Non sono parole del solito sindacalista agricolo, e nemmeno di chi è dedito a “vendere” l’agricoltura e l’agroalimentare. A pronunciare queste frasi, il 30 aprile 2024 anticipando la Festa del Lavoro, è stato il presidente della Repubblica Sergio Mattarella che, quest’anno, ha scelto di iniziare dall’agricoltura un ragionamento importante sulla necessità di difendere e valorizzare sempre il lavoro di tutti.
Lavoro che, diciamolo subito, deve essere non solo valorizzato sempre, ma sempre svolto in maniera dignitosa, rispettoso delle prerogative delle persone coinvolte, giustamente remunerato e apprezzato. Anche nei campi e nelle stalle. Perché, come hanno ricordato tra i molti anche i coltivatori diretti, è attraverso il lavoro dei campi che l’agroalimentare nazionale è diventato “la prima ricchezza del Paese” dando occupazione “a 4 milioni di persone, impegnate in 740mila aziende agricole, 70mila industrie alimentari, oltre 330mila realtà della ristorazione e 230mila punti vendita al dettaglio”.
Mattarella, che ha visitato due realtà agricole in Calabria, ha poi continuato: “Il lavoro è legato, in maniera indissolubile, alla persona, alla sua dignità, alla sua dimensione sociale, al contributo che ciascuno può e deve dare alla partecipazione alla vita della società. Il lavoro non è una merce. Ha un valore, lo sappiamo, nel mercato dei beni e degli scambi. Anzi, ne è elemento essenziale, perché senza l’apporto della creatività umana sarebbe privo di consistenza e di qualità. Ma proprio la connessione con la realizzazione della personalità umana conferisce al lavoro un significato ben più grande di un bene economico; lo rende elemento costitutivo del destino comune”. Il capo dello Stato ha insistito anche sulle attività agricole aggiungendo: “Agricoltura e ambiente vanno di pari passo: è, appunto, il settore primario. La sostenibilità rafforza i prodotti, migliora i territori, dunque la vita delle comunità. Più alti standard nella sicurezza, nell’impatto sul suolo, sull’aria, sulla qualità degli alimenti, accrescono il benessere, la vivibilità. Occorre inserirsi con sagacia nelle direttrici che hanno valore strategico per il futuro dell’Europa. La transizione ambientale e quella tecnologico-digitale richiedono di essere pronti agli appuntamenti. Abbiamo la capacità di guidare e di progettare i processi di innovazione: possiamo averne l’ambizione”. Parole importanti, che hanno anche il tono di una riposta equilibrata alle molte tensioni che in questi ultimi tempi hanno percorso le relazioni tra campagne, industria ed Europa. Parole alle quali si è aggiunto poi un passaggio sul lavoro agricolo fornito dagli immigrati – “parte essenziale della produzione agricola e delle successive trasformazioni dei suoi prodotti” – sul quale però occorre vigilare con maggiore attenzione per evitare ingiustizie.
Patrimonio economico, di lavoro e di civiltà, dunque, l’agroalimentare descritto da Mattarella. Descrizione che – è necessario sottolinearlo – non va confusa con un un’immagine bucolica del settore e, ancora di più, non può essere strumentalizzata per campagne protezionistiche oppure di parte. L’agricoltura e l’agroalimentare che il presidente della Repubblica ha valorizzato sono attività in grado di competere sul piano internazionale con efficacia ed efficienza, capaci di difendere le bontà alimentari nazionali, in grado di rispettare lavoro e ambiente. Settori, in altri termini, in grado di tenere testa alla concorrenza senza per questo mortificare lavoro e natura. Mattarella ha delineato un impegno per tutti.