Nicola Salvagnin
“Lo sviluppo della Repubblica ha bisogno del rilancio del Mezzogiorno”: come non condividere le parole del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, dette nel corso della celebrazione del Primo Maggio? Durante la quale ha aggiunto che ci sono differenze insostenibili tra Nord e Sud: redditi sensibilmente più bassi; servizi e sanità meno efficienti; tasso di occupazione inferiore; donne svantaggiate; troppi giovani costretti ad emigrare. Analisi lucida e incontrovertibile.
Da questa scaturiscono due domande: che si può fare? E l’autonomia differenziata che si avvia a diventare legge dello Stato, aumenterà o attenuerà queste differenze macroscopiche?
Il secondo quesito ha una sola risposta: certamente non le attenuerà, non è per questa ragione che è stata adottata da certe Regioni del Nord. Anzi: è il tentativo (blandamente mascherato) di separare i destini di alcune aree benestanti e tutto sommato ben governate, da un Mezzogiorno che ha Regioni che si collocano agli ultimissimi posti nell’Unione Europea quanto a sviluppo economico e quindi sociale.
È il male italiano del Dopoguerra: un Nord che ha raggiunto le aree più ricche e sviluppate del continente; un Sud sprofondato in una gara al ribasso con il Peloponneso greco, l’Estremadura spagnola, le aree più rurali della Bulgaria. Al netto delle “rimesse statali” (stipendi pubblici e pensioni), l’intero prodotto interno lordo della Calabria non si avvicina nemmeno a quello di una qualsiasi provincia prealpina.
Tutte le ricette di politica economica applicate dagli anni Cinquanta in poi, sono fallite. I finanziamenti a pioggia hanno lasciato solo siccità economica e malcostume; i grandi stabilimenti industriali sono quasi tutti falliti; l’infrastrutturazione è estremamente carente; i distretti economici agevolati hanno agevolato poco o nulla; non ci sono più banche locali; non servono sgravi e bonus per lavoratori che faticano ad essere assunti. In regola, poi…
Solo colpa di classi dirigenti locali non all’altezza? Sicuramente, ma non solo. Il Mezzogiorno trattato alla stregua di un semplice bacino elettorale, ha tirato a campare con la Cassa omonima; finita la quale, è sopraggiunto un rassegnato oblio. Il Sud si spopola, i migliori se ne vanno, la speranza è al lumicino: non lo diciamo noi, ma una natalità ai minimi nazionali (ai massimi a Bolzano, l’area più ricca d’Italia).
Dice Mattarella: “Una separazione delle strade tra i territori del Nord e quelli del Meridione recherebbe gravi danni agli uni e agli altri”, e il presidente si ferma qui per non dire tutta la verità: recherebbe gravi danni alla Repubblica, all’Italia unita. Il fatto è che questa separazione c’è già nei fatti. E il vero timore è che il cavallo meridionale sia così fiacco, da non avere più la capacità di rialzarsi e provare a correre.
Che fare dunque? L’impressione è quella di osservare la periferia degradata di una grande città, laddove le energie si concentrano verso i quartieri migliori, mentre il resto viene lasciato a se stesso. Non c’è una soluzione pronta e valida per tutto e tutti, ma si potrebbero rafforzare le due aree più dinamiche (Campania e Puglia), sperando in un effetto-macchia d’olio.
Il Mezzogiorno, con la denatalità, è l’emergenza numero uno di questo Paese. Curioso che entrambe siano trattate di sguincio, o per nulla.