Foto Calvarese/SIR

Andrea Regimenti

Continua il calvario dell’Ex Ilva di Taranto. È di pochi giorni fa la notizia di un guasto al nastro trasportatore dell’Altoforno 4, l’unico rimasto in funzione. Una criticità, l’ennesima, che continua a minare la serenità dei lavoratori così come le incertezze sulla salute dei cittadini. Dopo oltre 10 anni e a pochi mesi dal commissariamento e dalla messa in amministrazione straordinaria per Acciaierie d’Italia da parte del Governo, il Sir ha fatto un punto su come la città e i lavoratori dell’indotto vivono questo periodo con l’aiuto di don Antonio Panico, professore, vicario episcopale della diocesi di Taranto per la Pastorale sociale, il lavoro, la giustizia e la custodia del creato e profondo conoscitore della vicenda e delle implicazioni e ripercussioni che l’acciaieria ha sul territorio tarantino.

A che punto siamo?
Ci sono ancora tantissimi problemi, specialmente se si pensa che dei milioni destinati alle bonifiche, andranno per la messa in moto di alcuni impianti. Recentemente è stato nominato un nuovo commissario governativo che deve essere messo in condizioni di poter lavorare sulle tante difficoltà che registriamo da anni. Altra cosa importante è la fabbrica che versa in condizioni di grandissima difficoltà. Pochi giorni fa c’è stato un incendio di uno dei nastri trasportatori, dovuto – stando a quanto dicono gli operai – a una scarsa manutenzione dell’impianto. Lo stato di fatiscenza dell’impianto è molto evidente, e quindi si dovrebbe cominciare a pensare di realizzare qualcosa di diverso, di meno impattante e legato a quel concetto di decarbonizzazione del quale si parla da anni. Gli impianti sono messi molto male e questo è preoccupante. Le gestioni precedenti non hanno fatto molto, anzi molto poco. Su molti aspetti è calato il silenzio. Tuttavia immagino e spero che si stia facendo il più possibile per i lavoratori, ma si deve fare di più. Si deve andare verso un modello produttivo diverso.

I lavoratori come vivono questo tempo incerto?
Ormai siamo a 12 anni a luglio dal primo sequestro degli impianti da parte del giudice tedesco. Si continua a lavorare in condizioni sempre più critiche. Recentemente abbiamo celebrato una messa con i lavoratori nella parrocchia più vicina allo stabilimento. È stato un momento di grande confronto e simpaticamente i lavori hanno richiesto un intervento divino.

La gente non si sta rassegnando. I segni di qualcosa di positivo si vedono. Ci sono delle ferite, ma non ci si arrende. C’è voglia di andare avanti.

Ferite che coinvolgono anche molte famiglie che vivono in uno stato di dolore per delle malattie che derivano dalle emissioni dell’impianto.
L’Ordine dei medici ha recentemente chiesto alla Regione di non ridurre le spese sanitarie nella provincia perché la gente ancora si ammala e ancora sta male. E spesso le patologie sono croniche e di carattere oncologico, quindi richiedono un’attenzione particolare. In tutta questa vicenda non dobbiamo mai dimenticare le persone che stanno male e soffrono. Dobbiamo essere vicini a queste persone. Come dice il Papa nell’enciclica Laudato si’,

“esistono forme di inquinamento che colpiscono quotidianamente le persone. L’esposizione agli inquinanti atmosferici produce un ampio spettro di effetti sulla salute, in particolare dei più poveri, e provocano milioni di morti premature. Ci si ammala, per esempio, a causa di inalazioni di elevate quantità di fumo prodotto dai combustibili utilizzati per cucinare o per riscaldarsi. A questo si aggiunge l’inquinamento che colpisce tutti, causato dal trasporto, dai fumi dell’industria, dalle discariche di sostanze che contribuiscono all’acidificazione del suolo e dell’acqua, da fertilizzanti, insetticidi, fungicidi, diserbanti e pesticidi tossici in generale. La tecnologia che, legata alla finanza, pretende di essere l’unica soluzione dei problemi, di fatto non è in grado di vedere il mistero delle molteplici relazioni che esistono tra le cose, e per questo a volte risolve un problema creandone altri”.

In ultimo, cosa auspica per il futuro dell’impianto e della città?
Auspico che ci sia davvero un ripensamento sull’opportunità di avere un modello produttivo diverso, come succede in altre parti. Dal punto di vista scientifico ci sono cose già realizzate che funzionano. Perché a Taranto, invece, si continua a tenere in vita una cosa che non funziona e che è poco sostenibile economicamente e ambientalmente? Si deve cominciare a lavorare seriamente alla produzione di un acciaio più pulito che altrove dà ottimi risultati. Anche qui è possibile.

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