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L’amore della Trinità

Giovanni M. Capetta

Sembra quasi che, dopo la festa di Pentecoste, la Chiesa faccia come resistenza a riprendere a camminare insieme secondo il ritmo del tempo ordinario. Del resto non possiamo non accorgerci che il Tempo di Pasqua è durato cinquanta giorni, nettamente più di quello della Quaresima: a significare che il periodo della gioia è sovrabbondante nella vita del cristiano, rispetto al tempo della sua preparazione, anche a fronte delle prove più dure! Siamo nuovi in Cristo e chi ci incontra dovrebbe vedere in noi, i volti di uomini e donne che, nella loro testimonianza, anche senza parole, non riescono a trattenere la gioia incontenibile della Sua Resurrezione. È come se, dopo l’effusione dello Spirito Santo, ci accorgessimo che la successione dei giorni anche apparentemente più normali e perfino grigi, o neri hanno, invece, o almeno possono avere nei loro cieli il sole splendente e extra-ordinario, appunto, che sorge a partire dalla notizia del sepolcro vuoto, delle apparizioni di Gesù ai discepoli, fino alla discesa del Suo Spirito, il grande Consolatore, Colui che “è Signore e dà la vita” e la continuerà a dare fino all’ultimo giorno. Non c’è più ferialità, intesa in senso stretto, nulla è del tutto banale dei nostri gesti, delle nostre fatiche; la quotidianità è permeata da Dio che abita ovunque e noi possiamo accoglierlo nel suo continuo rivelarsi. Ogni risveglio la mattina è grazia; ogni incontro è dono; ogni riposo la sera, occasione di gratitudine; quanto al dolore, al non senso e al lutto: essi non spariscono: ci sono ma Lui è anche lì, anzi, maggiormente dove c’è una croce.

La festa della Trinità, poi, assume un carattere di svelamento. Noi, infatti, possiamo conoscere il Figlio, attraverso la sua Parola e perché ha camminato nella storia; Gesù ci ha continuamente parlato del Padre e ci ha permesso di riconoscerlo in Lui; ma solo con e nello Spirito Santo che possiamo conoscere l’Amore che intercorre fra il Padre e il Figlio. La Pentecoste ci offre la possibilità non solo di contemplare il Padre e il Figlio di fronte a noi, ma anche di comprendere la loro relazione; anzi, Dio non si accontenta di mostrarci questo dialogo di amore assoluto, ma ci permette di entrarvi, di immergerci pienamente in esso, di essere partecipi di questa intimità.

Quello che possiamo sperimentare, in una dimensione mistica, è che nella relazione trinitaria nessuna delle tre persone parla di sé, ma ciascuna comunica l’altro. Il Padre genera il Figlio, il Figlio rivela il Padre e lo Spirito comunica il fluire del loro amarsi reciprocamente. E se in una famiglia funzionasse proprio così la comunicazione e la stessa esistenza? Dove le diverse persone non mettano loro stesse al centro, ma riescano a superare quella centratura narcisistica per cui, grattando la superficie delle forme anche gentili, tutto è sempre in funzione propria. Se il marito non facesse altro che bene-dire sua moglie per quello che è, prima ancora che per quello che fa? Se ogni padre dicesse-bene di loro madre ai figli perché essi vedano quanto la ama? Se ogni moglie sapesse valorizzare il proprio marito, senza mai dargli la possibilità di lamentarsi, rievocando il trito nemo propheta in patria? Se i figli facessero a gara a mettere in evidenza le virtù e i talenti del fratello; se, facendo un passo indietro, sapessero essere ammiratori presso i genitori della bravura dell’altro?

Lo so, possono sembrare tutte ingenue utopie, perché è fuori dubbio che questo non succede abitualmente, ma noi ci crediamo che sarebbe possibile? Ci crediamo davvero che si possa vivere secondo il Vangelo o, in fondo, siamo rassegnati ad ascoltarlo ogni settimana, magari anche ogni giorno, ma, poi, è come se assistessimo ad una gara sportiva di cui noi, con le nostre forze e talenti, non potremmo mai essere protagonisti? La fede non è una scommessa cieca, ma è una partita da giocare seriamente… Domenica, a Roma, ci sono stati tanti motivi di ringraziamento: molti, attraverso i media hanno seguito le migliaia di bambini che Papa Francesco ha in piazza San Pietro. Anche Roberto Benigni ha incoraggiato tutti con il suo carisma e ha invitato a non rassegnarci ad essere fotocopie, come avrebbe detto il giovane Carlo Acutis, presto santo e patrono di Internet. È stata anche la festa del compatrono della capitale, quel San Filippo Neri, contemplativo in azione, innamorato di Gesù, che alla proposta del cardinalato rispose che preferiva il Paradiso!

Infine, il Vangelo proclamato durante la liturgia eucaristica della festa della Trinità ci invita ad andare per il mondo, offrendo il Battesimo a tutti gli uomini. Gesù dà il suo mandato ai discepoli ancora increduli e ciò ci incoraggia: i cristiani non sono quelli che hanno già capito tutto prima di partire, quelli che fanno i corsi di recupero per poter partire a convincere gli altri che il Cristianesimo vale la pena. I discepoli non sono tanto invitati a spiegare razionalmente Dio, ma ad incontrarlo e ad incontrare gli altri, a fare insieme esperienza di Lui, con il fine di battezzare coloro che lo desidereranno. Ma battezzare non è come una campagna di tesseramento, un’adesione che va bene se la pubblicità è stata efficace, come rischiamo di supporre con i nostri gruppi e associazioni, preoccupandoci perché i numeri si assottigliano sempre di più. Il verbo greco “battezzare”, in greco significa immergere ed infatti si tratta di far immergere l’altro nella realtà di Cristo. La fede va raccontata, certo, ma poi va sperimentata, non può essere vista da fuori, se no si riduce ad un’idea come ce ne sono tante. Essere cristiani ci introduce non nel “dover fare”, ma “nel poter fare”. Puoi smettere di fare i peccati, non devi… E soprattutto non devi amare (che senso avrebbe?), ma puoi amare con lo stile con cui ama Dio. La vita di Dio è a nostra disposizione, totalmente. “Se vuoi puoi!” Se no resta lì, in una sfida continua davanti a te stesso. Puoi vivere una vita da Dio, ma sbaglieresti se pensassi di doverlo fare per meritare chissà cos’altro. Allora immergiamoci in Gesù Cristo, mangiamolo e lasciamoci mangiare, facendo fino in fondo comunione con Lui.

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