Di Silvia Rossetti
Gli studenti coinvolti negli esami in questo mese di giugno, tra scuola secondaria di primo e secondo grado, saranno circa un milione. Nella scuola secondaria di primo grado gli alunni affronteranno tre prove scritte (italiano, matematica e lingue straniere) e un colloquio interdisciplinare. Nella secondaria di secondo grado le prove scritte saranno due, riguarderanno l’italiano e una delle discipline d’indirizzo. Il colloquio orale si svolgerà in chiave pluri e interdisciplinare, teso a valutare sia la capacità del candidato di cogliere i collegamenti tra le conoscenze acquisite sia il profilo educativo, culturale e professionale dello studente.
Insomma, non resta che aprire le danze…
Giugno è anche tempo di bilanci, non solo di scrutini ed esami. La scuola sembra essere nei pensieri di molti, almeno dal punto di vista delle intenzioni e dei proclami, però gli edifici continuano a essere carenti (a volte proprio fatiscenti), le classi troppo affollate e i numerosi “ritocchi” legislativi non preludono a effettivi ed efficaci cambiamenti. Anzi, di fatto l’organizzazione scolastica appare sempre più burocratizzata e affannata. In questo surplus di procedure e protocolli si perde sempre più di vista l’impianto pedagogico che ogni istituto dovrebbe prioritariamente perseguire, nonché gli obiettivi educativi e il reale successo formativo degli studenti.
L’aspetto che maggiormente preoccupa è il calo di motivazione diffuso tra i giovani e il pesante disincanto che essi nutrono nei confronti del futuro. La scuola non pare aver trovato ancora le giuste strategie per sciogliere questo nodo: le metodologie didattiche sono da svecchiare, la gestione dei contenuti all’interno delle lezioni non è adeguata, anche gli strumenti di valutazione risultano poco calibrati sulle competenze e ancora fortemente calati sul nozionismo.
Uno studente demotivato e scettico nei confronti del futuro può trasformarsi facilmente in un giovane esposto a sindromi depressive, o alla devianza. La scuola è molto spesso “una montagna da scalare”, soprattutto per i ragazzi con Bisogni Educativi Specifici o disagi ambientali. Inoltre, cosa molto grave, i percorsi di istruzione dimostrano di essere sempre meno un ascensore sociale, anzi spesso contribuiscono ad appesantire i divari sociali.
Per non parlare dell’orientamento, che ancora non funziona come dovrebbe: a testimoniarlo sono i dati sulla dispersione e l’abbandono scolastico. L’Istat ha registrato nel 2023 in Italia la presenza di circa 1,7 milioni di giovani (quasi un quinto di chi ha tra 15 e 29 anni), che non studia, non lavora e non è inserito in percorsi di formazione (i cosiddetti Neet). Un numero preoccupante che interessa in misura maggiore le ragazze (20,5%) e, soprattutto, i residenti nelle regioni del Mezzogiorno (27,9%) e gli stranieri (28,8%).
Che tipo di generazioni usciranno dunque da questi imminenti esami? Quale sarà la loro preparazione? Sapranno affrontare non solo i successivi percorsi di studio, ma la vita in generale?
Il tratto comune della Generazione Z continua a essere la fragilità emotiva ed esistenziale, una fragilità alimentata dal disorientamento delle stesse famiglie e della scuola e dai fuorvianti messaggi di una certa dilagante subcultura mediatica e digitale.
Alcuni giovani provano a ribellarsi, a opporsi alla “piena” di un mare che travolge l’identità dei singoli e i timidi tentativi di esprimere un pensiero “dissonante”. Purtroppo le ribellioni non sono sempre costruttive e assumono sovente le sembianze dell’autolesionismo, o dell’autoemarginazione. Mancano a questi ragazzi letture formative, mancano guide, mancano modelli. In questo vuoto latitano anche le figure genitoriali, spesso impegnate più in operazioni di mero controllo che in processi realmente educativi.
In questi giorni di attesa proviamo a pensarci e ad affiancare i nostri giovani candidati. Gli esami rappresentano un rito di passaggio, la conclusione di un percorso, spesso faticoso e segnato da evoluzioni personali non sempre lineari e prive di ostacoli.
Prepariamo i nostri ragazzi non solo ad affrontare la perfomance, ma anche a prendere confidenza con i propri limiti e le proprie potenzialità. Insegniamo loro a individuare i “reali” obiettivi e a trasformare una eventuale delusione in una opportunità di crescita.