Di Giovanni M. Capetta
Come ogni calendario, anche quello liturgico ha le sue stagioni. Dopo la festa del Corpus Domini, celebrata domenica scorsa, si apre il lungo periodo del Tempo Ordinario: quasi sei mesi che – salvo la Solennità dell’Assunta, il 15 agosto (quanti di noi, fanno gli auguri agli amici, in questo giorno, ricordando Maria, piuttosto che dire Buon Ferragosto?) – non presentano né feste, né tanto meno ricorrenze speciali. E, dunque, dovremmo temere questo tempo apparentemente vuoto? Possiamo contemplare, dopo l’effusione dello Spirito Santo, a Pentecoste, un tempo piatto, inerte, in cui “nulla si crea e nulla si distrugge”? Sappiamo che non è mai così, eppure il nostro spirito ha sempre sete di novità e di sorprese e quando crede che non se ne possa aspettare, subito tende a rattrappirsi. Ma possono esserci per un cristiano giorni senza senso? Possono darsi luoghi privi di significato e tanto meno esistono incontri e relazioni inutili? Forse più che affannarci a moltiplicare gli eventi delle nostre agende, potremmo dare un sapore più intenso a quelli che già ci è dato di vivere. Si tratta di resistere alla stessa tentazione di quei pittori e miniatori che, nel corso della storia dell’arte, non sopportavano la pagina o la tela vuota. L’horror vacui è un male quanto mai attuale, una sindrome della contemporaneità occidentale.
Il terrore di annoiarci, di non saper cosa fare ci attanaglia; è causa di depressione, manda in crisi sia i lavoratori workaholic quando vanno in pensione, sia le cosiddette casalinghe disperate, sia, in modo inquietante, anche tanti adolescenti e giovani che arrivano talvolta perfino a togliersi tragicamente la vita. In questo contesto, il cristianesimo – che, pure, nella sua bimillenaria esperienza, avrebbe molto da insegnare ricorrendo alla dimensione contemplativa della vita della tradizione monastica dei padri del deserto, di San Benedetto, fino ad oggi – è molto spesso preso in contropiede. La Chiesa appare poco attraente e non esaustiva nel placare l’ansia moderna del fare rispetto all’essere e molti trovano risposte, apparentemente più esaustive, attingendo al patrimonio delle filosofie e delle arti marziali e meditative provenienti dall’Oriente più o meno Estremo.
Ma anche Gesù ci invita a rimanere desti e vigili a voler svegliare l’aurora – come recita il verso di un salmo. Inquieti non nel senso di ansiosi, ma assetati di senso, di relazione, di amore. Abbiamo tante risorse per non perdere vigore ed entusiasmo anche lungo il cammino dei lunghi giorni dell’estate e poi dell’autunno (stagione ancor più critica) quando saremo chiamati a riprendere le attività interrotte durante le vacanze. Lo stesso otium che caratterizza i giorni di ferie non può ridursi a una mera sottrazione dell’attività lavorativa; quando succede questo, molte persone come angosciati cacciatori di svaghi, non riescono affatto a riposarsi e neppure il contatto con la natura li rasserena. Un segreto semplice può essere quello di confrontarsi onestamente fra tutti i membri della famiglia e individuare il minimo comun elemento che gioverebbe a tutti: quel luogo, quella dimensione, quelle compagnie che per anche pochi giorni, almeno sulla carta, potrebbero garantire una concordia maggiore, un ritmo più rilassato, la possibilità di convivere per il piacere di farlo e non solo perché ormai è così per gli sposi ed è una necessità vincolante per i figli, nonostante, magari, alzino gli occhi al cielo. Se poi, per tutto il più largo periodo delle vacanze (soprattutto con figli magari già maggiorenni, o adolescenti coinvolti in iniziative di gruppo), il nucleo si divide e gli sposi iniziano ad allenarsi a stare nuovamente in due e non in funzione della prole, questo è tutto di guadagnato, secondo il consueto adagio che è la coppia il primo figlio da accudire nel matrimonio.
Tempo estivo, quindi, come tempo non ripetitivo e vuoto, ma anzi spesso davvero rigenerante e proficuo anche proprio per fare manutenzione delle dinamiche e oliare gli ingranaggi di quel delicato meccanismo che si chiama famiglia. Quale lubrificante usare? Ancora una volta, in ambito spirituale, la fede ci sostiene soprattutto con la Parola, letta, meditata individualmente (magari in forma più continuativa, ritagliandosi delle modalità e dei tempi più estesi) e celebrata nell’assemblea liturgica, dove viene spezzata come poi il pane, facendoci corpo con Cristo stesso. Un alimento che nutre e rinvigorisce gli animi in virtù della presenza dello Spirito che prende da Gesù quello che è suo e ce lo annuncia (cfr. Gv 16,14). Gesù è davvero sempre con noi: mentre tocchiamo coi piedi il fondo di un mare cristallino e poi proseguiamo a nuotare al largo e quando salendo in montagna l’aria ci sferza maggiormente perché stiamo arrivando in vetta. Ma è, a maggior ragione con noi, se quest’anno non potessimo lasciare le nostre città nel caldo asfissiante che spesso opprime i corpi e obnubila le menti. È con noi nel dolore terribile di chi soffre in una stanza di ospedale e in una RSA dove la solitudine di tanti anziani regna sovrana col suo silenzio assordante. Dio è lì dove un bambino muore innocente, dilaniato da una bomba assassina, come sul petto di una donna che ha appena partorito suo figlio alla vita. Per ogni uomo e ogni donna che nel mondo abbia perso il significato del suo esistere, a me, a te non è concesso di annoiarci, né tanto meno di concederci sterili lamenti. A noi è chiesto di portare speranza e ricordare a tutti la promessa di Cristo: “Sono con voi tutti i giorni fino alla fine del tempo” (Mt 28,20).
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