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Francia sottosopra, elezioni in vista

(Foto ANSA/SIR)

Macron, Macron e ancora Macron. Dopo la batosta elettorale subita alle europee (Renaissance, la sua coalizione, ha preso la metà dei voti dei sovranisti lepenisti del Rassemblement National), il Presidente della Repubblica francese si riprende la scena e ne ha per tutti. L’esito delle urne lo ha convinto in poche ore a sciogliere l’Assemblea nazionale: oltralpe si voterà al primo turno il 30 giugno e il 7 luglio per i ballottaggi. Un sistema elettorale a doppio turno, quello francese, che finora ha intralciato il cammino dei nazionalisti. Ma ora lo scenario è diverso e sembrerebbe che ciascuno – destra estrema, repubblicani gollisti, centristi liberali, e sinistra di varia marca – voglia fare corsa a sé.

Sprezzante con la destra. “No allo spirito di disfatta. Sì al risveglio”, ha affermato oggi lo stesso Emmanuel Macron durante una infuocata conferenza stampa, in cui si è detto fiducioso nell’elettorato per bloccare l’avanzata dei lepenisti che puntano ora al governo e poi, a tempo debito, all’Eliseo.Macron, commentando il voto del 9 giugno – i cui risultati hanno assunto un peso più nazionale che europeo –, ha affermato di aver compreso la “collera” dei cittadini e di voler fornire una risposta concreta a questa rabbia.

Ha poi ripreso il tema della propria “responsabilità, nel senso in cui non ho offerto risposte rapide e radicali alle inquietudini dei francesi, alle loro paure, al senso di declassamento di alcuni nostri quartieri”. Certo, ha osservato, le destre avanzano in tutta Europa, ma è indiscutibile che in Francia abbiano fatto il pieno di voti. Per poi osservare: “Il progetto promosso dal Rassemblement National non permetterà di rispondere all’insicurezza. Del resto, qual è la risposta concreta che propongono? Sanno solo dire di no, ma poi non danno alcuna risposta” ai problemi dei francesi.

Attacco alla sinistra. Il Presidente – che forse qualche esame di coscienza politico lo dovrebbe pur fare – non si è limitato ad attaccare i lepenisti. Di un possibile Front Populaire di sinistra (che raccoglierebbe Partito socialista, Partito comunista, Verdi e France Insoumise) ha detto: “Non è nemmeno qualcosa di barocco, è indecente”. Non esattamente una mano tesa a possibili alleati del secondo turno. Salvo poi invocare una convergenza degli elettori centristi, radicali, ecologisti, democratico cristiani e progressisti… Non di meno il giudizio su Eric Ciotti, presidente dei gollisti, che ieri aveva annunciato l’alleanza con il Rassemblement National. Per Macron, Ciotti (oggi espulso dal suo stesso partito) “ha fatto un patto con il diavolo”.

Il momento dei chiarimenti. Una cosa è certa. In queste ore la Francia è in subbuglio. Di politica si parla in ogni caffè, sui bus, nei luoghi di lavoro. Chi vota destra estrema intravvede il miraggio di Palazzo Matignon, sede del governo; chi sostiene Macron trema al pensiero di vedere Jordan Bardella, giovane presidente di Rn, alla guida dell’esecutivo; gli elettori repubblicani e della sinistra appaiono disorientati. Come la stessa Francia. Dunque o la si prende sul ridere, o si resta senza parole di fronte a quanto sta avvenendo in Francia in questo inizio di (seconda) campagna elettorale: lo sottolinea Séverin Husson nell’editoriale odierno del quotidiano cattolico La Croix. Dopo aver sintetizzando i movimenti sorprendenti che i partiti politici francesi stanno compiendo in questi giorni e ore, afferma, che“è il momento dei chiarimenti di cui ha bisogno la nostra democrazia, scossa dall’elezione di Emmanuel Macron nel 2017”.Il quale – secondo l’editorialista – avrebbe “offuscato i parametri di riferimento, indebolito i gruppi politici e contribuito alla smobilitazione elettorale”. “Invece di strategie politiche, trattative piccole e grandi manovre”, Husson sostiene che “gli elettori si aspettano idee dai presunti candidati. Quali sono le loro proposte per rivitalizzare la socialdemocrazia, per rompere con l’isolamento del potere, per porre fine a questa falsa impressione che lo Stato non possa fare nulla o molto poco. Non basta invitare a fare muro, a votare contro. Noi vogliamo votare per”.

Disillusione e incertezza. “Ci troviamo in una fase di disillusione, incertezza, riguardo alla possibilità di costruire uno spazio europeo. In molti Paesi, i movimenti di estrema destra o nazionalisti si oppongono all’idea di un organismo sovranazionale. E anche il partito che è all’origine dell’Unione, il Partito popolare europeo, nato dalla Democrazia cristiana, modera il suo impegno, per paura di dispiacere a un’opinione pubblica riluttante”: è lo storico francese Christophe Charle che, sempre sulle pagine de La Croix, offre una riflessione di ampio respiro a partire dall’esito elettorale del 9 giugno, esito che colpisce tanto più dopo la crisi Covid-19 e l’aggressione russa in Ucraina, anni in cui l’Europa è apparsa “uno strumento al servizio degli europei”. L’affluenza aumentata rispetto al 2019 mostrerebbe secondo Charle che “il voto europeo non è più lontano ed è attraversato da divisioni molto reali”.

Manca “l’Europa culturale”. Riflettendo sul ruolo degli intellettuali in questo contesto, lo storico Charle afferma che “la loro voce non è molto udibile, anche se la situazione molto particolare in Francia, dopo il risultato storico del Rassemblement National e lo scioglimento dell’Assemblea nazionale sta risvegliando alcuni di loro”. Si tratta però di un’élite ristretta e senza voci paragonabili a quelle di Goethe o Émile Zola, o uno Jürgen Habermas francese.A questo si aggiunge il fatto che “il livello di conoscenza reciproca si sia indebolito” e i passati nazionali ritornino in auge:esempi ne sarebbero “l’Ungheria ossessionata dalle conseguenze della prima guerra mondiale, l’Italia di Giorgia Meloni che vorrebbe fare di Roma la capitale europea, la Gran Bretagna che ha scelto la Brexit, la Francia dove Rn sta conducendo una campagna su una grandeur nazionale da ritrovare”, tutte “manifestazioni di un inconscio storico che risale a molto tempo fa”. Ma sarebbe, secondo Charle, l’indifferenza a segnare il rapporto degli intellettuali con l’Europa perché di fatto “non abbiamo mai costruito l’Europa culturale”. Oggi però, conclude lo storico “l’emergenza climatica e la crisi democratica richiedono dibattiti sugli stili di vita e scelte di civiltà, al di là della preoccupazione meramente finanziaria. Non è quindi impossibile che, grazie a queste sfide senza precedenti, nel continente rinasca un dibattito intellettuale tanto vivace quanto cruciale”.