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Hunter Biden e Donald Trump: il peso delle due condanne nella campagna elettorale

(Foto ANSA/SIR)

Maddalena Maltese

(da New York) Colpevole. Colpevole. Colpevole. Per tre volte la giuria popolare di Wilmington in Delaware ha pronunciato la parola che giudica reo Hunter Biden, primo figlio di un presidente degli Stati Uniti in carica ad essere condannato in uno dei tribunali del paese. La scorsa settimana la stessa parola, colpevole, era stata ripetuta da una giuria di New York, stavolta indirizzata all’ex presidente degli Stati Uniti, Donald Trump: primo presidente ad essere finito alla sbarra per reati penali.

Hunter Biden è stato condannato per non aver rivelato di essere tossicodipendente, mentre si accingeva ad acquistare una pistola, rimasta in suo possesso per sei mesi, nonostante sia proibito a chi fa uso di droghe. Donald Trump è stato condannato per aver falsificato i documenti della sua organizzazione e coprire un pagamento in nero ad una ex pornostar con cui avrebbe avuto una relazione che era bene mantenere segreta prima della campagna elettorale del 2016. Entrambi i verdetti sono in attesa della sentenza. La giudice del processo Biden, nominata da Trump, si è riservata tempo prima di fissare la data: ha un limite di 120 giorni per decidere. Il giudice del processo Trump, nominato dall’ex sindaco di New York, Bloomberg,  ha già decretato che l’11 luglio si conoscerà la pena comminata all’ex presidente.

I due verdetti arrivano nel mezzo di una campagna elettorale e la pressione politica sui due casi è stata enorme, tuttavia i sondaggi, come anche gli analisti, non credono che le condanne incideranno sugli orientamenti degli elettori.

La campagna per la rielezione Biden non ritiene che la condanna del figlio si tramuterà in terremoto, anche perché le azioni di Hunter non sono riconducibili al padre. Al contrario, la storia di dipendenza di Hunter, le sofferenze della famiglia Biden sono specchio di tante altre vite americane affette dalle droghe e  dalle conseguenze devastanti del loro uso e alla fine susciteranno simpatia e vicinanza. Il presidente del resto è stato chiaro: da padre resta vicino al figlio, da politico rispetta il verdetto e il sistema giudiziario che lo ha emesso. Inoltre non grazierà Hunter usando i suoi poteri di commander in chief, ma lascerà che la giustizia faccia il suo corso.

Ben altre reazioni sono state suscitate dal verdetto di Donald Trump, che assieme ai suoi alleati repubblicani ha  cercato di delegittimare le indagini penali sul suo caso, parlando di caccia alle streghe e di un sistema giudiziario usato come “arma” contro di lui. Mentre la sua campagna ha raccolto 53 milioni di dollari a 24 ore dal verdetto, l’ex presidente ha convinto la Camera ad indire audizioni per i procuratori che hanno portato avanti il caso; mentre per giorni ha martellato sui social, nei rally elettorali e in tutte le sue interviste, il dipartimento di giustizia, il giudice, i familiari del giudice, gli impiegati del tribunale, i testimoni definendoli incessantemente “corrotti” e “truccati”. Trump ha minimizzato la sentenza di Hunter Biden dicendo che è una “distrazione dai veri crimini della famiglia”. Il presidente della Camera Mike Johnson ha sostenuto che la condanna di Hunter Biden “non” mina le affermazioni dei repubblicani di un sistema giudiziario a due livelli”;  tuttavia anche alcuni dei deputati più vicini all’ex presidente hanno dovuto ammettere, pur a denti stretti, che il processo si era svolto secondo i dettami giudiziari ordinari senza scorciatoie di sorta.

Chi è uscito vincitore da questa partita elettorale, giocata in tribunale, è il sistema giudiziario americano, dove le giurie popolari, scelte con il consenso di accusa e difesa, hanno svolto il loro lavoro con serietà, soppesando le prove e pronunciando le condanne per un ex presidente e per il figlio di un presidente, senza indugio, mostrando che nessuno è al di sopra della legge, qualunque posizione ricopra.
Sul fronte del possesso di armi si aprono invece interrogativi su interrogativi soprattutto in termini di sicurezza e di controlli. In un Paese già armato all’inverosimile, acquistare un’arma continua ad essere troppo facile e troppo facile è l’usarla contro altri. A tal proposito, Trump, in quanto condannato, non può possedere un’arma, ma nel momento in cui scriviamo, l’ex presidente non ha ancora consegnato alla polizia la pistola che custodisce nella sua residenza.

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