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Intervista al nuovo Europarlamentare Marco Tarquinio: “Serve concretezza nel solidarismo”

Di Roberto Mazzoli

Abbiamo intervistato Marco Tarquinio, già direttore di Avvenire, figura di spicco del mondo cattolico ed eletto al Parlamento europeo come indipendente nelle liste del PD alle elezioni europee dell’8 e 9 giugno.

Un commento a caldo sull’elezione.
Sono molto grato agli oltre 40mila elettori: il loro consenso non era scontato, lo si è visto chiaramente. Correre come indipendente in un grande partito organizzato non è stata un’impresa semplice, anche se alla fine vincente, nonostante qualche opinionista (e non solo) abbia fatto un tifo sfegatato, dandomi per escluso a scrutinio ancora aperto.
Sono grato alla segretaria del PD Elly Schlein che ha dato un segnale preciso di pluralismo possibile. Mi sarei aspettato un’accoglienza diversa da coloro che si dicono cattolici democratici e invece c’è stato un processo alle intenzioni. E anche una caricatura delle mie posizioni, soprattutto e curiosamente proprio da parte di quelli che dicono di avere un’ispirazione molto vicina alla mia.

Analizzando i dati elettorali, si nota chiaramente che la tua affermazione dipende molto anche da Pesaro, dove la gara era tra l’altro con la pesarese Alessia Morani. Non è ingeneroso dire che sei stato sostenuto solo da sant’Egidio e dai clericali di Roma?
Mi pare evidente che il voto è articolato e complesso. Ho girato territori molti diversi ed anche il risultato finale è composito. Ci sono concittadini con sensibilità diverse. Molti credenti altri no. Ognuno può applicare ai fatti lo schema che preferisce.

Per te è stato coniato un neologismo: “ultrapacifista”. Che cosa significa?
Non so cosa intendano. Io faccio fatica a chiamare gli altri bellicisti o ultrabellicisti. Ma vedo che ci sono gli entusiasti della politica della guerra. Viene sbandierata come la soluzione ai problemi del mondo. Se con il termine ultrapacifista si vuole indicare chi sostiene che la guerra non è la soluzione delle guerre ma la perpetrazione delle guerre, allora sì: lo sono.

Puoi chiarire anche il passaggio sulla NATO per cui sei stato molto attaccato?
Sulla Nato dico da decenni che dalla fine del Patto di Varsavia si poneva il problema di una nuova organizzazione per la sicurezza in Europa. La Nato era superata e invece è stata allargata e ha cambiato la sua natura: da alleanza offensiva a difensiva. Ne è un esempio il primo atto riguardante la guerra del Kosovo, dove senza autorizzazione dell’ONU è stato attaccato lo stato sovrano. Questo è l’alibi che ha usato anche Putin nella strategia neo-imperiale basata sul rivolgersi ad aree di paesi vicini a maggioranza russofona, facendo la stessa operazione che hanno fatto gli occidentali. Anche in Kosovo c’era una maggioranza albanese e minoranza serba. Ciò che sostengo è un processo di costruzione di un’alleanza diversa tra USA e UE sulla base di una autonoma capacità di difesa e autodifesa: un progetto federalista serio per l’Europa. Se qualcuno vuol trasformarlo in polemica forse non ha chiaro che gli occidenti sono due con interessi in parte convergenti in parte strategicamente diversi: c’è l’occidente anglosassone e l’occidente euro-continentale che vediamo oggi più a rischio perché la guerra è tornata in Europa e si è radicata nel nostro continente.

Quali sono le sfide che attendono oggi la politica?
Penso che nel PD c’è un gran lavoro da fare per sostituire la retorica dei riformismi con la concretezza del solidarismo. Perché nella politica di oggi non mancano le riforme, ma la capacità di lavorare seriamente sul piano della solidarietà. Credo che il PD si debba impegnare sul lavoro degno, il salario minimo garantito, la sanità di tutti, l’investimento sulla scuola, la questione della transizione verde o convenzione ecologica, come la chiama Papa Francesco. Sono le grandi questioni che saldano il patto intergenerazionale e noi sappiamo quanto ce ne sia bisogno.

Che significato ha il voto uscito dalle urne delle Europee?
In generale è un voto importante quello italiano e fa del PD il partito perno del gruppo dei socialisti e democratici in Europa con il compito di tenere fermo l’asse della politica europea senza farlo scivolare a destra, secondo quello che era anche il progetto evocato dalla Presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen.

Alla luce della campagna elettorale appena conclusa, c’è qualche sassolino nella scarpa che vorresti toglierti?
La cosa che mi ha colpito in campagna elettorale è che sono stato l’unico ad essere criticato dagli stessi candidati del PD; io ho rispettato il fatto che si corresse insieme, evidentemente per altri non è stato così. È una questione di stile della politica che poi diventa anche sostanza. Ne prendo atto.
Quello che mi ha colpito è stata la caricatura fatta su alcune delle mie posizioni, come l’aborto, sul quale la mia convinzione è molto ferma e serena. Non voglio il ritorno alle mammane, nessuno pone questa questione nemmeno dai mondi cattolici; qui si continua a non voler smilitarizzare il discorso su queste questioni, mentre dovremmo prenderci cura della vita delle donne, dei piccoli e più in generale dell’accoglienza della vita in tutti i suoi momenti, dalla nascita fino all’ultimo, passando per la vita migrante, di chi lavora e di chi è malato. Questa è la visione che io porto della vita: una posizione a favore del diritto a una vita degna. Invece il mio pensiero è stato strumentalizzato come una posizione contro i diritti delle persone. Questi temi non sono solo compatibili ma necessari al PD: se vuole recuperare il passo di sempre nella solidarietà deve sottoporsi a politiche per la società italiana ed europea. Ed è quello per cui mi impegnerò in Europa.