Il primato petrino dovrebbe essere inteso come “esercizio di un primato universale basato sul riconoscimento dell’interdipendenza reciproca tra primato e sinodalità a ogni livello della vita della Chiesa: locale, regionale e universale”. È una delle proposte contenute nel Documento di studio “Il vescovo di Roma”, in cui si fa presente la “necessità di un ministero dell’unità a livello universale”, sulla base di “considerazioni sia interne che missionarie”. “In un mondo sempre più globalizzato, molte comunità cristiane, che hanno a lungo privilegiato la dimensione locale, sentono sempre più la necessità di un’espressione visibile della comunione a livello mondiale”, si legge nel testo, in cui si ricorda che “la maggior parte delle comunioni, federazioni e alleanze mondiali, così come gli organismi ecumenici, sono stati istituiti nell’ultimo secolo per mantenere e rafforzare i legami di unità a livello regionale e mondiale. Questa necessità di strumenti globali di comunione è stata avvertita anche per risolvere i disaccordi tra le Chiese locali riguardo a questioni nuove e potenzialmente divisive in un mondo globalizzato”. In sintesi, la maggior parte delle risposte e dei documenti di dialogo concordano chiaramente sul fatto che “il primato debba essere esercitato in un’autentica Chiesa conciliare”.
La riflessione ecumenica, infatti, “ha contribuito a meglio evidenziare che il ministero del vescovo di Roma non può essere inteso in modo isolato da una prospettiva ecclesiologica più ampia”, cioè tenendo conto del fatto che le tre dimensioni – comunitaria, collegiale e personale – “sono operative a ogni livello della Chiesa”.
Per quanto riguarda l’esercizio del primato nel XXI secolo, dunque, un primo accordo generale è “la reciproca interdipendenza tra primato e sinodalità a ogni livello della Chiesa e la conseguente necessità di un esercizio sinodale del primato”. Molti dialoghi ecumenici, si legge ancora nel testo, sottolineano “la necessità di un equilibrio tra l’esercizio del primato a livello regionale e universale, notando che nella maggior parte delle comunioni cristiane il livello regionale è il più rilevante per l’esercizio del primato e anche per la loro attività missionaria”. Alcuni dialoghi teologici con le comunioni cristiane occidentali, osservando una “asimmetria” tra queste comunioni e la Chiesa cattolica, chiedono un rafforzamento delle conferenze episcopali cattoliche, anche a livello continentale, e un continuo “decentralizzazione” ispirato al modello delle antiche Chiese patriarcali. L’importanza del livello regionale è sostenuta anche nei dialoghi con le Chiese ortodosse e ortodosse orientali, che sottolineano “la necessità di un equilibrio tra primato e primati”.