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La venerabile Enrichetta testimone di qualcosa che è accaduto e ci si è donato: “Fate questo in memoria di me”

Massimiliano Noviello OFMCap

La Venerabile Enrichetta ha esercitato “l’apostolato dell’orecchio”. Ascoltare, prima di parlare, come esorta l’apostolo Giacomo: “Ognuno sia pronto ad ascoltare, lento a parlare” (1, 19). Dare gratuitamente un po’ del proprio tempo per ascoltare le persone è il primo gesto di carità. Il verbo “ascoltare” è stato decisivo nella grammatica della comunicazione e condizione dell’autentico dialogo nella famiglia Beltrame Quattrocchi. In Enrichetta, la capacità del saper comunicare nasceva dall’aver imparato ad ascoltare a lungo nella sua vita e con lo stupore di un bambino. Il suo ascolto non era una teoria o una tecnica, ma “capacità del cuore che rende possibile la prossimità” (Esort. ap. Evangelii gaudium, 171).

La vera sede dell’ascolto è il cuore.  Un ascolto che permetteva al “tu” di crescere in umanità, di maturare in pienezza; non aveva la pretesa dell’Io di chi ascolta di occupare la scena, ma aveva qualcosa a che vedere anche con il ritiro, nel senso di lasciare spazio all’altro. Cristo è stato la consistenza di Enrichetta! Affermava Paolo ai cristiani di Colossi: “Egli esiste prima di tutte le cose e tutto ha consistenza in Lui”. È all’interno di questa amicizia consapevole, di questo coinvolgimento esistenziale con Cristo, dell’ascolto della Parola di Dio, della sua compagnia che si qualifica la sequela della venerabile, il cui desiderio è stato sempre fare solo la volontà di Dio. Adrienne von Speyr nella sua Mistica oggettiva, osservava:

“La santità non consiste nel fatto che l’uomo dà tutto, ma nel fatto che il Signore prende tutto”.

L’uomo immagina ciò sempre come qualcosa di limitato. La sua offerta, nonostante la sua volontà, non deve tenere per sé niente, neanche una figura conforme a questo mondo. Seguire Gesù Cristo implica dunque una reale povertà di sé, proprio come il Signore che “essendo Dio non si è attaccato al suo essere Dio”.

La venerabile Enrichetta rinunciò, sotto la guida spirituale, sia alla vita matrimoniale che alla scelta di farsi suora, consacrandosi interamente al servizio della famiglia, “come figlia”. In realtà questa rinuncia che si presenta come forma, modalità visibile, rivela l’immedesimazione, come dice la lettera agli Efesini, di Cristo in Enrichetta trasformandola dall’interno, sprigionando e liberando in lei quell’energia per l’”opus Dei”: “l’opera di Dio”. In Enrichetta ciò che cambia è il “punto di vista”, che non è più la riuscita, la propria capacità di esito, di realizzare un progetto personale, con il suo calcolo e il dosaggio di energie e di mezzi, per arrivare al fine. In Enrichetta, il valore cristiano risiede nel progetto di Dio su di lei: ella lo riconosce e l’accetta come sua storia propria.

Afferma Giovanni “Questa è la vittoria che vince il mondo, la nostra fede”. E la ragione per cui vincerà è che “Dio è fedele alla sua promessa”. La venerabile Enrichetta ha costruito su questo fondamento. Ella è stata ed è una pietra viva nell’edificio del Corpo di Cristo; con la sua vita concreta di disponibilità viva, attiva, di dedizione totale che investe ogni suo progetto, giudizio, sentimento e azione, ci ha mostrato la dinamicità cristiana nell’edificazione della chiesa, dove il valore non sta nella misura del risultato ma nel libero abbandono a quel Dio che – come scrive Luigi Giussani – “rende paradossalmente più capaci di risultato”. Con la sua obbedienza diviene così una figura che Dio ha chiamato a svolgere un particolare ruolo di testimonianza nella storia del popolo di Dio e a diventare paradigma pedagogico alla maturità di un rapporto col Mistero che è di tutti i chiamati. Ecco perché la sua vita può essere guida su una strada verso la carità di Dio che sembra altrimenti impossibile. “Il cristiano – scrive ancora Giussani – scorge come su uno schermo d’ingrandimento la struttura della propria figura più embrionale e i tratti del proprio cammino più breve ed inevoluto”. La venerabile Enrichetta con la sua vita ci ha mostrato che la santità cristiana non è la scelta di un atteggiamento da assumere nel mondo, ma è il riconoscimento di “qualcosa” che è accaduto e a cui ci si dona con gioia: “è apparso nella carne” e “fate questo in memoria di me”, a cui aderire per lasciarsi trovare e a ciò che giorno dopo giorno muta il nostro volto e il nostro sguardo.

(*) postulatore delle Cause dei Santi

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