Di Chiara Pellici
Nelle credenze popolari delle Solomon Islands, se un’isola affonda significa che è morta la testuggine marina su cui poggiava. Quando c’è un terremoto, è una tartaruga che litiga con un’altra. Mentre lo tsunami è causato da un forte dissenso tra gruppi di testuggini. Essendo la tartaruga marina un animale sostanzialmente pacifico, si può spiegare perché in questa parte di mondo tali eventi catastrofici siano piuttosto rari. A raccontare tutto ciò è suor Anna Maria Gervasoni (nella foto), missionaria delle Figlie di Maria Ausiliatrice nelle Isole Salomone, ricordando le leggende delle popolazioni autoctone. Per loro, infatti, la testuggine marina ha un’importanza particolare: la sua natura tranquilla, forte, il guscio resistente e la particolare maestosità le hanno conferito il compito di “trasportatrice del mondo”.
Nelle Isole Salomone. Un tempo, infatti, qui si credeva che il bacino dell’Oceano, contenente tutte le isole, appoggiasse sul guscio di una grandissima tartaruga marina che navigava nello spazio, trasportando con andatura sicura, tranquilla e protettiva, la casa degli uomini. In modo particolare, nelle Solomon Islands si credeva che ogni isola poggiasse su una tartaruga marina. E questo spiega le possibili interpretazioni dei fenomeni naturali sopra descritti. Tale leggenda, oltre a far sorridere, lascia un insegnamento: “Ogni creatura – spiega suor Gervasoni – cura e protegge le altre, ma è importante farlo in pace e consci che i nostri stati d’animo possono causare danni alla vita altrui”.
La natura insegna. Mettendosi in ascolto della natura e intervistando i missionari sparsi in ogni angolo di mondo, non è difficile scoprire che tutti i popoli autoctoni traggono dal Creato gran parte dei loro insegnamenti. Favole, aneddoti, proverbi, leggende, miti vedono molto spesso, come protagonisti, animali di ogni tipo o elementi naturali, come alberi, montagne, acqua, vento. Forse è per questo che gli indigeni, nei diversi continenti, senza confini, sanno mettersi in ascolto della natura, imparare dai suoi insegnamenti, coglierne i cambiamenti, persino gli stati d’animo.
La foresta è viva. Un esempio che si ritrova in tante culture, dalla Nuova Zelanda al Brasile, è il rispetto per la foresta, intesa quasi come un essere vivente tout court, con una propria identità, di cui avere riguardo, considerazione, quasi soggezione. E, prima delle leggende e dei racconti tradizionali, lo testimoniano i dati di un recente rapporto dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura in collaborazione con il Fondo per lo sviluppo dei popoli indigeni dell’America Latina e dei Caraibi (Filac):le regioni dell’Amazzonia da loro custodite hanno tassi di deforestazione inferiori fino al 50% rispetto a quelle dove non c’è più presenza autoctona.In altre parole, i popoli indigeni dell’America Latina sono i migliori custodi delle foreste. E la motivazione è ovvia. Infatti, chi distruggerebbe la propria casa? Perché per queste popolazioni, l’ecosistema amazzonico è “la loro casa”.
L’uomo non è padrone. La sacralità della foresta è testimoniata ad ogni latitudine. Anche in Nuova Zelanda, una storia popolare dei Maori insegna il rispetto della natura e sottolinea come l’uomo non possa considerarsi padrone di ogni creatura.Addirittura, nella cultura aborigena la natura è tramite della presenza di Dio,cioè permette all’essere umano di sentirsi vicino al Creatore. “Viviamo da migliaia di anni nella quiete della natura. Il mio popolo – dice Miriam Rose Ungunmerr Baumann, personalità molto nota e amata in Australia sia tra i suoi aborigeni che tra il resto della popolazione – oggi riconosce e sperimenta in questa quiete il grande Spirito vivificante. Quando sono fuori a caccia, quando sono nella boscaglia, tra gli alberi, su una collina: questi sono i momenti in cui posso semplicemente essere alla presenza di Dio”.