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Caritas San Benedetto: “Accompagniamo verso l’autonomia ogni persona che bussa alle porte della Caritas parrocchiale o diocesana”

DIOCESI – Pubblichiamo la lettera a firma dei responsabili della Caritas di San Benedetto del Tronto – Ripatransone – Montalto.

Torna la calda stagione, la gente si riversa sulle nostre spiagge, il mare ci riporta  all’episodio del vangelo che narra di una pesca straordinaria sulla parola di Gesù.  Riflettiamoci un po’! 

  1. Abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla

«Una dignità infinita, inalienabilmente fondata nel suo stesso essere, spetta a ciascuna  persona umana, al di là di ogni circostanza e in qualunque stato o situazione si trovi.  Questo principio, che è pienamente riconoscibile anche dalla sola ragione, si pone a  fondamento del primato della persona umana e della tutela dei suoi diritti. La Chiesa,  alla luce della Rivelazione, ribadisce e conferma in modo assoluto questa dignità  ontologica della persona umana, creata ad immagine e somiglianza di Dio e redenta  in Cristo Gesù. Da questa verità trae le ragioni del suo impegno a favore di coloro che  sono più deboli e meno dotati di potere, insistendo sempre «sul primato della persona  umana e sulla difesa della sua dignità al di là di ogni circostanza». (Dignitas infinita) 

È quanto si legge all’inizio della Dichiarazione “Dignitas infinita” del Dicastero  per la dottrina della fede del 2 aprile 2024. Sono parole che motivano il nostro servizio.  Sorge spesso la domanda se davvero l’eguale dignità di tutti gli esseri umani sia  riconosciuta, rispettata e promossa. A tal proposito il documento fa una quadruplice  distinzione del concetto di dignità: c’è una dignità ontologica che appartiene alla  persona in quanto tale e che mai può essere cancellata, ma c’è anche una dignità che si  può perdere, quella morale, in base all’uso della libertà da parte del soggetto; una  dignità sociale che fa riferimento alle condizioni di ‘vita indegna’ a motivo della  povertà estrema; una dignità esistenziale che riguarda la fatica della persona, pur non  mancando di ciò che è essenziale, a vivere “con pace, con gioia, e con speranza” (cfr  Dichiarazione Dignitas infinita n.7).

Il servizio che tanti volontari, professionisti, religiose svolgono alla Caritas ha  come obiettivo di animare culturalmente ed evangelicamente la comunità perché venga  riconosciuta e promossa la dignità di ogni persona a tutti i livelli. È un impegno che  richiede competenze. Ecco perché nel corso degli anni la Caritas diocesana, grazie  all’incoraggiamento del vescovo Mons. Carlo Bresciani, ha cercato di investire sulla  formazione. Molti sono stati i momenti di spiritualità, i corsi sull’ascolto e l’assertività,  gli incontri laboratoriali sulla relazione, i percorsi con i vari esperti a livello psicologico  e pedagogico. L’obiettivo è sempre quello di accompagnare verso l’autonomia ogni  persona che, in situazioni di grande precarietà, bussa alle porte della Caritas  parrocchiale o diocesana. Ma nonostante la passione, l’entusiasmo, lo studio da parte  dei volontari, a volte occorre fare i conti con il fallimento, che spesso genera  scoraggiamento e tristezza. In questi momenti sentiamo nostra l’espressione di Simone,  rivolta a Gesù: “Abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla” (Lc 5,5).  

Prendi il largo e gettate le vostre reti per la pesca 

I primi discepoli erano marinai esperti, sapevano come pescare, eppure in una  notte intera non prendono nulla. In questo momento buio della storia, che registra  grandi conflittualità a tutti i livelli, tra persone come tra stati, e considera tanta gente  come scarto da destinare a ‘discariche’ che nessuno vuole sul proprio territorio, abbiamo l’impressione di non riuscire a tirar fuori nessuno da questo mare che toglie  la vita. Ci rendiamo conto che non bastano le competenze, pur necessarie, occorre un  di più. Tutto ciò che viene dall’uomo, e quindi anche la scienza, porta con sé la  dimensione del limite, ma l’essere umano è pensato, voluto, sognato per l’infinito. C’è  bisogno allora di una parola diversa, che abbia il respiro dell’eternità, di uno sguardo  capace di scrutare il ‘profondo’ dell’uomo per cercare la bellezza nascosta, di una  fiducia immensa nelle potenzialità ed energia di ogni creatura che porta in sé  l’immagine e la somiglianza con Dio.  

E’ interessante l’atteggiamento di Simon Pietro che non obietta di fronte ad una  richiesta quasi insensata del Maestro, forse più esperto in falegnameria che di pesca, ma afferma: “sulla tua parola calerò le reti!”. Da notare l’uso alternato del singolare  e del plurale, che ritroviamo in tutto il testo, quasi a dire che la chiamata ad “andare  al largo” riguarda uno e nello stesso tempo tutti. Forse anche noi ci rendiamo conto  che non basta la nostra perizia, non bastano inchieste-sondaggi-ricerche, né la nostra  passione e il nostro entusiasmo, occorre accogliere una Parola che renda possibile  l’impossibile. L’episodio del vangelo sembra proprio affermare che la nostra sterilità,  come quella dei discepoli che non pescano nulla, diventa fecondità quando obbediamo  alla Parola di Gesù. La questione fondamentale per la chiesa, per la comunità, per la  Caritas non è soltanto essere più o meno bravi, più o meno esperti, ma non  accontentarci delle nostre parole per fare spazio al vangelo. E’ questo il motivo per cui  in Caritas diocesana iniziamo la settimana sempre con la celebrazione Eucaristica. Anzi  sarebbe bello se anche le Caritas parrocchiali si dessero un momento di preghiera  settimanale per portare davanti al Signore tutte le persone che la provvidenza ci fa  incontrare. Non è facile infatti riconoscere nei volti sfigurati dei tanti crocifissi di oggi,  scartati dalla società perbenista ed individualista, riconoscere il Cristo e, soprattutto,  sporcarsi le mani, come il buon samaritano, versando sulle ferite l’olio della  consolazione e il vino della speranza. Così ogni lunedì ripartiamo con l’impegno ad  attingere forza in Colui che da ogni morte ha il potere di far risorgere.  

Non temere; d’ora in poi sarai pescatore di uomini 

Se torniamo indietro negli anni, incontriamo nella memoria volti, sguardi, storie  di fratelli e sorelle che, come tanti immigrati che si avventurano nel Mediterraneo,  stavano annegando tra le onde travolgenti dell’indifferenza e, in qualche modo, sono  stati ‘ripescati’. Questa infatti è la chiamata del Signore: “D’ora in poi sarai pescatore  di uomini”! Ed è risaputo che se i pesci vivono nell’acqua, gli uomini vi affogano. La  missione che il Signore assegna ai suoi è di tirar fuori dal mare le persone perché  possano vivere. Purtroppo non sempre si riesce in questo compito non facile e questo  porta con sé tanto dolore e tristezza. Anzi, spesso si ha la sensazione che i naufraghi  aumentano, mentre le forze diminuiscono. È incoraggiante però l’espressione che torna per ben 365 volte nella Bibbia: “Non temere”. Come se il Signore la ripetesse una  volta ogni giorno dell’anno. Accogliamo allora l’invito del Maestro: “Duc in altum”.  È come se ci dicesse: non abbiate timore di “prendere il largo”, di avventurarvi verso  la “profondità”, di andare oltre i propri limiti. In una parola siamo chiamati ad osare,  all’audacia e al coraggio, per andare oltre la povertà visibile ed arrivare all’invisibile,  lì dove alberga la nativa e incancellabile bellezza posta dal Creatore in ogni creatura.  Dalle risorse, dai diversi talenti, dai carismi, che Dio dona ad ognuno, si può ripartire  per valorizzare il positivo e tessere quelle relazioni, autentiche e fraterne, che riportano  alla vita.  

A Natale abbiamo pubblicato un testo dal titolo “Il professorino”, un tentativo  di scrittura collettiva, frutto di uno dei laboratori promossi alla Caritas diocesana.  Proprio questo titolo mi fa venire in mente un vecchio film di Ermanno Olmi,  “Centochiodi”, dove il regista racconta di un giovane e affermato professore che decide  di abbondare tutto per cominciare una vita nuova. Alla fine del film fa un’affermazione  che fa pensare: “Tutti i libri del mondo non valgono un caffè con un amico”. Ad una  studentessa indiana aveva spiegato che c’è più verità in una carezza che nei libri. La  storia di un giovane che cerca una vita in cui ciò che conta sono i rapporti autentici tra  le persone e le gioie semplici di ogni giorno. Così diventa un punto di riferimento per  una comunità che, minacciata dallo sgombero, vede in lui una specie di Cristo redivivo,  un Cristo delle strade e non solo degli altari. Forse proprio di questo ha bisogno il  nostro mondo: un’umanità che porta in sé quel divino che redime, che ama la Parola di  Dio perché si fa carne, che non schiaccia l’umile con la legge ma l’accompagna con la  grazia.  

Risuonino nel nostro cuore le parole con cui un giorno Gesù invitò Simone e i suoi  amici a “prendere il largo”: “Duc in altum”.

Redazione: