Di Enzo Gabrieli
“Spera e agisci con il Creato” è il tema della Giornata di preghiera per la cura del Creato, il prossimo 1° settembre.
Papa Francesco mette insieme il canto di lode di Francesco d’Assisi, la “missione di custodire il giardino” e la “visione di speranza” che accompagna l’agire concreto dell’uomo.
E quest’anno il santo Padre apre la sua riflessione richiamando lo Spirito Santo che agisce in ciascun uomo e “rende i credenti creativi, pro-attivi nella carità. Li immette in un grande cammino di libertà spirituale, non esente tuttavia dalla lotta tra la logica del mondo e la logica dello Spirito, che hanno frutti tra loro contrapposti”.
L’esistenza del cristiano è tutta vita di fede, operosa nella carità e traboccante di speranza, nell’attesa del ritorno del Signore nella sua gloria. Non fa problema il “ritardo” della parusia, della sua seconda venuta. La dimensione escatologica diventa fertile terreno per l’esercizio delle virtù teologali. La salvaguardia del creato passa, nella riflessione del pontefice, da una dimensione etica ad una dimensione teologica.
“La speranza cristiana non delude e non illude – scrive il papa – e se il gemito della creazione, dei cristiani e dello Spirito è anticipazione e attesa della salvezza già in azione, ora siamo immersi in tante sofferenze che San Paolo descrive come “tribolazione, angoscia, persecuzione, fame, nudità, pericolo, spada” (cfr Rm 8,35). Allora la speranza è una lettura alternativa della storia e delle vicende umane, “non illusoria, ma realista, del realismo della fede che vede l’invisibile”.
E qui il riferimento diretto a Gioacchino da Fiore, il teologo della speranza, che parlò di una possibile convivenza fra gli uomini e con il creato che scelse come principale partener per l’annuncio del tempo nuovo.
“Questa speranza è l’attesa paziente, come il non-vedere di Abramo. Mi piace ricordare quel grande visionario credente che fu Gioacchino da Fiore, l’abate calabrese “di spirito profetico dotato”, secondo Dante Alighieri: in un tempo di lotte sanguinose, di conflitti tra Papato e Impero, di Crociate, di eresie e di mondanizzazione della Chiesa, seppe indicare l’ideale di un nuovo spirito di convivenza tra gli uomini, improntata alla fraternità universale e alla pace cristiana, frutto di Vangelo vissuto. Questo spirito di amicizia sociale e di fratellanza universale ho proposto in Fratelli tutti. E questa armonia tra umani deve estendersi anche al creato, in un “antropocentrismo situato” (cfr Laudate Deum, 67), nella responsabilità per un’ecologia umana e integrale, via di salvezza della nostra casa comune e di noi che vi abitiamo”.
Un intreccio che papa Francesco definisce “generativo”, in quanto risale all’atto d’amore con cui Dio crea l’essere umano in Cristo ma allo stesso tempo incarnato e cioè che “sappia entrare nella carne sofferente e speranzosa della gente”, condividendo l’attesa della risurrezione dei corpi, la resurrezione della carne, a cui i credenti sono predestinati in Cristo Signore, in una vita vissuta secondo lo Spirito che “diventa canto d’amore per Dio, per l’umanità, con e per il creato, e che trova la sua pienezza nella santità”.
Gioacchino da Fiore (1135ca – 1202), monaco calabrese e fondatore dell’Ordine dei florensi, ritirandosi nel cuore della foresta silana ha cercato nell’armonia con il creato nella nuova Nazaret, spazio dell’incontro tra il divino e l’umano, luogo teologico di renaissance di speranza. E’ proprio la speranza che caratterizza il cammino della vita cristiana anche nei gemiti di un creato che vuole liberarsi dalle catene del male che sembra imperare e vincere, seminando terrore e morte. La sua vita è stata così una “armonia sinfonica” tra la contemplazione della Parola e quella del creato, tra la fuga mundi della preghiera e l’impegno concreto per invertire il corso negativo delle vicende umane nella logica dell’incarnazione. La speranza da forza al cristiano per spezzare ancora le catene dell’odio, costruire fraternità, fecondare la storia agendo orientati dalla meta ultima ed eterna; il profeta parla e agisce “come se vedesse l’invisibile”.