(Foto Calvarese/SIR)

Andrea Regimenti

La roccia ha sempre affascinato e calamitato,  il desiderio di scalarla in cui sembra di possederla, di farla propria è prorompente nell’audacia che vibra nell’animo: salirvi in cima per dominare con lo sguardo tutto quanto ormai è lasciato a valle. Averla conquistata e magari averla sigillata con il proprio nome.

L’Altissimo, irrompendo nella storia dell’umanità, ci ha donato la Parola che ci guida nel nostro peregrinare nella storia e ci si spalanca un ben altro panorama, in cui la roccia non è più quella parete o quel masso che io voglio guadagnare e dominare ma è la Roccia:

Egli è la Roccia: perfette le sue opere,
giustizia tutte le sue vie;
è un Dio fedele e senza malizia,
egli è giusto e retto (Dt 32, 4).

Su questa scoperta e su questa fedeltà il credente gioca tutta la sua esistenza e tutte le sue scelte. Non sigilla la propria scalata con il proprio nome ma guarda al Nome, guarda alla Roccia e si dimentica di se stesso perché attratto dalla Sua Bellezza.
Abbaglia solo il Nome.
Anche nei momenti in cui vacilla, in cui sbaglia e cede, come ancora Deuteronomio sottolinea:

La Roccia, che ti ha generato, tu hai trascurato;
hai dimenticato il Dio che ti ha procreato! (Dt 32, 18).

Nel quotidiano l’attrazione della scalata in proprio è sempre presente, mettere al primo posto la conquista, la vittoria, attira e poi magari delude e fa precipitare.
Solo quando è stato toccato il fondo dell’indigenza e dell’impotenza, ecco riemergere il Nome, ecco riemergere il ricordo. Eppure la Roccia, proprio perché è Roccia e non roccia, non cede a smottamenti, a frane, rimane salda ma non imperturbabile e senza reazioni, si addolora per la scelta errata ma viene in soccorso. Roccia sempre fedele e salda che ha sempre accompagnato il popolo di Israele in tutte le sue peripezie.

tutti bevvero la stessa bevanda spirituale: bevevano infatti da una roccia spirituale che li accompagnava

roccia che si era manifestata come la Roccia e poi aveva svelato la sua identità:

quella roccia era il Cristo (1 Cor 10,4).

Lo afferma Paolo, “il piccolo”, che di errori ne aveva disseminata la vita prima di venire folgorato dalla Luce. Pietro poi è colui che viene definito da Gesù Cristo stesso Cefa, cioè Roccia. Perché Roccia con R maiuscola? Non solo perché indicava ed indica un nome proprio ma perché il povero pescatore è chiamato a diventare Roccia per tutti noi, trapassando i secoli, solo perché egli si fonda e si lascia condurre dalla Roccia che è Cristo. Su questa Roccia la chiesa primitiva trovò la forza per l’annuncio, per la perseveranza nelle persecuzioni senza abbandonare il martirio, la testimonianza. La bevanda spirituale che scaturisce dalla Roccia che è Cristo, si riversa su questi due uomini che scoprono in sé la chiamata a diventare Roccia per noi. La loro Roccia, vale a dire loro stessi nella loro umanità, ha abbeverato la prima comunità cristiana con il sangue sparso nel martirio e continuano fino ad oggi a versarlo su di noi. Sangue di martirio, di  testimonianza, che può parlare di festa solo perché tutto è visto e creduto alla luce dell’adesione all’Altissimo, nostra Roccia, nella sequela della Roccia che è Cristo Gesù. Ora, in questo nostro tempo travagliato e scosso da guerre, traversie e calamità, come parlare di festa della Roccia? Solo perché forti del martirio di Pietro, Roccia, e di Paolo Roccia, noi a questa Roccia guardiamo e a Colui che oggi, pur nella sua impotenza umana, è stato scelto per essere per noi Roccia di Fede su cui poggiare e a cui abbeverarci: Francesco.

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