Di Daniele Rocchi
“Gaza underground: la guerra sotterranea e urbana tra Israele e Hamas” è il titolo del libro di Claudio Bertolotti, direttore di Start InSight, (Strategic Analysts and Research Team – http://www.startinsight.eu) e analista dell’Ispi. Il volume analizza alcuni tratti distintivi di questo conflitto, come l’uso dei tunnel, dell’Intelligenza artificiale, delle tattiche e strategie militari. Il Sir ha intervistato l’analista e fatto il punto sulla guerra a quasi 9 mesi dallo scoppio.
Dopo poco meno di 9 mesi di guerra, come giudica la situazione sul campo? Chi sta vincendo e chi sta perdendo?
Da un punto di vista militare la campagna di Gaza non è finita almeno negli obiettivi fissati da Israele all’inizio dell’invasione: la distruzione di Hamas come componente militare e l’annientamento della sua capacità politica. Nessuno dei due obiettivi può dirsi pienamente raggiunto.
Da un punto di vista politico, Hamas è forte come lo era prima, anzi si può dire che si sia rafforzato perché, sul piano internazionale, gli viene quasi riconosciuto un ruolo di interlocutore pur essendo considerato un gruppo terrorista da molti Paesi.
Dal punto di vista militare Hamas, se da un lato si è fortemente indebolito soprattutto in alcune aree della Striscia come Khan Yunis, dall’altro sta riuscendo, proprio in queste settimane, a reclutare nuovi miliziani, più giovani, che andranno rimpiazzare quelli caduti in combattimento e in operazioni mirate. E questo è un problema per Israele.
Restando sul piano militare, questa è una guerra che si sta combattendo con strategie e sistemi nuovi, come lei spiega nel suo libro “Gaza undergound”. Mi riferisco in particolare all’uso dei tunnel, da parte di Hamas, come uno dei due pilastri, l’altro è il tempo, della propria strategia politico-militare…
La dimensione sotterranea per la prima volta nella storia contemporanea diventa determinante. Siamo davanti all’esempio-scuola di come verranno combattuti i conflitti in area urbana nel prossimo futuro. La dimensione sotterranea ha assunto un ruolo determinante nella sopravvivenza di chi si difende che utilizza gli stessi tunnel anche per azioni offensive, una volta che le forze avversarie sono penetrate all’interno del territorio. Hamas è riuscita, in questo frangente, e in maniera estremamente efficace, a obbligare Israele ad adeguare l’impiego dello strumento militare a quelli che sono i dettami del diritto internazionale umanitario per la protezione dei non combattenti, accusandolo di non aver evitato di colpire i civili.
Civili che sono usati da Hamas come scudi umani…
Hamas si è posto consapevolmente ben al di fuori del diritto internazionale umanitario costruendo infrastrutture militari sotto obiettivi sensibili quali ospedali, scuole, moschee e centri di ritrovo e raccolta. Così facendo ha imposto alla popolazione civile un ruolo di scudi umani negandole l’uso dei tunnel come riparo dagli attacchi israeliani. L’uso esclusivo di questi strumenti sotterranei è riservato solo ai suoi miliziani. Hamas è riuscito ad additare Israele all’opinione pubblica globale la condotta di azioni non rispettose del diritto umanitario. E questa è una vittoria di Hamas. L’esercito israeliano non è esente dall’aver commesso errori e dall’aver provocato un numero di vittime importante, anche se statisticamente molto più basso di tutte le altre recenti guerre urbane combattute in Iraq (Mosul, Falluja), in Siria e in Ucraina.
Un’altra novità, descritta nel suo libro, è rappresentata dall’Intelligenza artificiale (IA) usata nella campagna militare israeliana. Con quali risultati?
Israele si è dimostrato ancora una volta non solo all’avanguardia ma pioniere nell’utilizzo di strumenti finora sviluppati e testati sul piano addestrativo, ma non in un contesto operativo ad alta intensità. Attraverso due software, ‘Lavender’ e ‘Where’s daddy?’, Israele è riuscito a identificare, attraverso un algoritmo, la posizione dei target, cioè degli appartenenti ad Hamas. Un lavoro associato a una campagna informativa e comunicativa che andava a definire le aree di combattimento giorno per giorno, ma avvertendo con settimane di anticipo quali sarebbero stati gli obiettivi, in modo tale che la popolazione civile potesse allontanarsi in tempo. Al fine di consentire questo allontanamento, è stato utilizzato un sistema di comunicazione massiva attraverso i social network e tutte le utenze telefoniche attive della Striscia di Gaza per avvertire la popolazione di abbandonare quelle aree creando dei corridoi di sicurezza all’interno dei quali muoversi. Questo è avvenuto per circa l’85% della popolazione civile. Chi è rimasto lo ha fatto per scelta o è stato obbligato. In questo caso familiari dei combattenti di Hamas tenuti all’interno delle aree di combattimento.
La liberazione degli ostaggi israeliani sembra segnare il passo, dopo l’accordo della fine dello scorso anno che portò al rilascio di una cinquantina di loro. Altro obiettivo mancato?
Direi di sì. Se l’obiettivo iniziale, insieme alla distruzione di Hamas, era quello di riportare a casa gli ostaggi, possiamo dire che non è stato raggiunto. Questo è il grosso dilemma politico del governo Netanyahu che di fatto non ha trovato ancora una soluzione. Questa però potrebbe arrivare con il processo negoziale, così come prospettato dalla Casa Bianca. Il problema è che Hamas non vuole nessun tipo di negoziato, perché ha da guadagnare di più nel proseguire il confronto sul campo di battaglia, aumentando anche il numero delle vittime civili da utilizzare come strumento di propaganda e accreditandosi come difensore delle istanze palestinesi. Cosa che in realtà non è rispetto al riconoscimento dei due Stati.
Si combatte ma ancora non è chiara la strategia israeliana post bellica su Gaza. Cosa potrebbe accadere?
Io temo che questa strategia ancora non ci sia, o quantomeno non sia ancora stata definita.
Il rischio è di veder passare l’attuale conflitto da un conflitto attivo e di manovra in uno di logoramento. Credo che la via di uscita sia solo politica ma bisognerà vedere quali potranno essere gli interlocutori che al momento non sono ancora stati definiti.
Lega Araba, una coalizione di paesi arabi che possa in collaborazione con Israele dare il via a una vera e propria ricostruzione: tutto questo non c’è. Altro rischio è che si possa sfociare in una guerra insurrezionale dove la componente civile potrebbe essere coinvolta ancora di più.
Ritiene possibile un’apertura di un secondo fronte di guerra, Israele-Hezbollah, al confine con il Libano?
Non credo che Netanyahu sia interessato a una guerra libanese. La questione, semmai, è porre un limite alla capacità di Hezbollah di poter continuare a danneggiare Israele. Il Libano stesso non ha alcuna intenzione di sostenere la posizione di Hezbollah perché questo farebbe precipitare il Paese in una guerra anche civile come già accaduto dal 1975 al 1990.