DIOCESI – Responsabile della Comunità Religiosa dei Sacramentini presente in San Benedetto del Tronto e vicario parrocchiale della Parrocchia San Giuseppe, padre Silvano Nicoli è anche il cappellano dell’Ospedale Madonna del Soccorso, ai cui pazienti offre assistenza spirituale e religiosa, un servizio che condivide con altri tre confratelli.

Per stare vicino ai malati è importante prima di tutto la presenza come persona, ovvero come cristiano prima ancora che come sacerdote – dichiara padre Nicoli –. Quando incontro un malato, non so come stia, che esperienza abbia vissuto e se sia credente. Negli anni ho imparato a guardare bene i malati, ad osservare il loro linguaggio, anche quando non parlano, e a stare con loro, a condividere la loro condizione umana, più che quella religiosa. Li vado sempre a salutare; a volte parlo con loro delle cure che stanno ricevendo, ma soprattutto dei problemi che hanno avuto; poi chiedo se hanno bisogno di qualcosa e se posso fare qualcosa per loro. È chiaro che, come sacerdote, porto anche dei segni: uno è la veste, un altro è la croce al collo, un altro ancora è il Sacramento dell’Eucaristia, ma il primo e più importante segno è la mia presenza“.

In ospedale dal martedì al venerdì, alle 8:20/8:30 circa, viene celebrata una Messa nella cappella del nosocomio. “Ho scelto quell’orario – prosegue il cappellano Nicoli – perché è un momento in cui ci sono sia i pazienti sia i loro familiari e talvolta anche il personale sanitario. Al termine di ogni celebrazione, diciamo sempre due preghiere: una è rivolta alla Madonna del Soccorso, che è la protettrice dell’Ospedale, e quindi è per tutti i malati; l’altra è rivolta a San Giuseppe Moscati, protettore dei medici, che preghiamo affinché essi si prendano cura non solo dei malati, ma della persona malata”.

“Ci sono reparti – conclude padre Silvano – in cui davvero bisogna entrare in punta di piedi, come ad esempio quello di Oncologia o di Geriatria o l’Hospice: lì bisogna essere davvero molto delicati e non bisogna insistere, in quanto ci sono pazienti di lunga degenza, spesso non autonomi, soli, che stanno affrontando una battaglia difficile ed estenuante o che si stanno avvicinando alla morte. Io, che sono stato un paziente oncologico, comprendo pienamente quello che passa nella loro vita; quindi so che non hanno bisogno di molte parole, bensì di una carezza, di un abbraccio, di una presenza con cui condividere i momenti di sofferenza e di solitudine. Quando mi faccio compagno di viaggio di tanti malati, per me l’ospedale diventa un luogo terapeutico, perché mi aiuta a dare senso e significato alla mia vita, una vita che non è più sterile, bensì diventa dono per loro”.

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1 commento

  • Maria Palma Mignini
    07/07/2024 alle 18:12

    Molto convinto e convincente! Coinvolto nel suo ruolo, riesce ad essere un vero testimone di fede e carità, vissute nel profondo! Buona Strada, sempre!

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