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Estate in carcere. Don Grimaldi: “Un tempo in cui i detenuti soffrono di più la solitudine”

Foto Calvarese/SIR

Di Gigliola Alfaro

L’estate è un periodo particolarmente difficile per le carceri, perché non c’è una programmazione adeguata che consenta di predisporre un’attenzione in più proprio per questa stagione che è molto delicata per chi vive in cella. Parecchie attività sono accantonate temporaneamente per mancanza di personale, per addetti che vanno in ferie, allo stesso tempo tante volte non si riescono a coinvolgere volontari o altre persone che durante l’anno, invece, frequentano il carcere. Di tutto questo parliamo con l’ispettore generale dei cappellani nelle carceri italiane, don Raffaele Grimaldi.

Foto Calvarese/SIR

È ritornata l’estate: le criticità che vivono soprattutto in questo periodo i detenuti sono state risolte rispetto all’anno scorso o ci ritroviamo sempre con gli stessi problemi?

Le nostre carceri sono diventate molto problematiche per tanti motivi come la mancanza di personale e operatori, questo non favorisce il buon andamento di un istituto penitenziario perché non deve essere solo il luogo dove il detenuto che ha commesso il reato sconta la pena, ma il suo compito è quello di rieducare e dare l’opportunità al detenuto di riprendere in mano la propria vita. In questa funzione del carcere le attività che si svolgono durante il periodo detentivo aiutano nell’ottica di realizzare un futuro diverso e migliore.Quando le attività si sospendono nei nostri istituti penitenziari, quando tante attività anche lavorative vengono meno anche per mancanza di personale, soprattutto d’estate in cui il poco personale che c’è va anche in ferie, possiamo dire che lo Stato fallisce rispetto a questo progetto di rieducazione del detenuto.

Per alcuni istituti l’estate è più drammatica che in altri? O sono problemi generalizzati?

Sono problemi abbastanza generalizzati, ma certamente ci sono delle strutture penitenziarie che sono un po’ più fatiscenti e per questo creano più problemi. Girando per l’Italia mi rendo conto che negli istituti vecchi, malandati, mancano degli spazi. In alcuni istituti ci sono locali chiusi perché hanno bisogno di essere ristrutturati e per mancanza di fondi restano chiusi, così alcune attività che si potrebbero organizzare all’interno dei penitenziari non si fanno per mancanza di spazio.

Photo SIR/CdE

Tra attività che non ci sono, mancanza di spazi, caldo con l’estate, la situazione diventa difficile da gestire…

Con questo tempo caldo, soprattutto a luglio e agosto, i detenuti vivono il dramma della solitudine

perché molti addetti e operatori vanno in ferie, per cui, come dicevamo prima, si riscontra ancora maggiore difficoltà a organizzare attività nel periodo estivo. Ai miei cappellani dico di non far mai mancare la presenza di volontari, di organizzarsi in modo tale che nel periodo estivo ci siano celebrazioni, momenti di riflessione, continuità nella vita pastorale all’interno dei nostri istituti. Non nascondo che, tante volte, anche per noi è difficile vivere una continuità di servizi offerti per tanti motivi, tra il quali il fatto che molti volontari vanno in ferie con la famiglia.Ma facciamo tutto il possibile per non far mancare la nostra vicinanza e il nostro accompagnamento, nella consapevolezza che il periodo estivo è drammatico e, proprio per questo, si possono verificare ancora più suicidi: le persone si sentono più abbandonate, soprattutto le più deboli, le più fragili.In particolare, bisogna avere molta attenzione, nel periodo caldo di luglio e di agosto, per quei reparti dove ci sono malati psichici e dove ci sono situazioni di grande emergenza.

A Sassari un detenuto si è dato fuoco, tra l’altro ustionando anche gli agenti che cercavano di aiutarlo…

Questo gesto estremo indica che la persona ha perso il contatto con se stesso, un forte disagio psicologico: darsi fuoco vuol dire non solo non riuscire a sopportare la detenzione, ma anche una mancanza di speranza. Quando si arriva a gesti estremi significa che la persona ristretta in istituto si sente soffocata dalla pena e dall’afflizione e non ha più orizzonti di speranza.Ecco il compito dei cappellani, degli operatori: noi siamo lì proprio perché anche noi ci sentiamo, come si legge nella bolla di indizione del Giubileo, pellegrini di speranza, persone che entrano nel carcere per portare la speranza, per non mettere all’indice nessuno, piuttosto per curare le ferite, cercare di aiutare coloro che in modo particolare vivono la solitudine.

Come si fa a portare speranza in luoghi dove ci sono tanti problemi?

La speranza nasce da un incontro con il Signore.

Noi vogliamo far incontrare i detenuti con il Cristo. Quando c’è l’incontro con Lui, al di là delle difficoltà, delle nostre solitudini, quell’incontro offre la speranza, fa guardare più lontano, apre un orizzonte nuovo. Il compito nostro è quello di annunciare il Vangelo nelle carceri, perché al di là delle attività, dei progetti che si possono fare, la speranza nasce da un incontro vero. Dall’incontro con Gesù nasce la conversione, senza la quale il cambiamento non può avvenire. La conversione, il cambiamento con l’annuncio del Vangelo, riesce a dare una vita nuova al detenuto, che ha commesso gravi reati – e sappiamo bene che il peso del male causato agli altri spezza il cuore – e quindi gli offre speranza.

(Foto Siciliani – Gennari/SIR)

È stato un bel gesto il dono da parte della Cei dei ventilatori in alcuni istituti…

Questo gesto lo definirei la carezza della Chiesa,

un piccolo gesto di solidarietà per rinnovare la forte vicinanza della Chiesa in Italia ai detenuti, specialmente quelli più fragili: nel mese di giugno sono stati distribuiti 2.200 ventilatori a 30 istituti penitenziari presenti sul territorio nazionale, nell’ambito del progetto “Semi di tarassaco volano nell’aria”, coordinato dal Servizio per la promozione del sostegno economico alla Chiesa cattolica e dall’Ispettorato generale dei cappellani delle carceri, con il supporto della Presidenza della Cei. Ma è un gesto che significa anche che la Chiesa è attenta, ha uno sguardo di predilezione verso coloro che vivono nelle carceri. Per l’iniziativa abbiamo cercato di individuare le carceri che hanno più bisogno. All’interno del carcere ci sono i fragili, i poveri più poveri, coloro che soffrono di più sono quelli che stanno nelle infermerie, che hanno bisogno di assistenza medica; dando a loro un ventilatore abbiamo voluto dare un messaggio di speranza per dire: “Non vi dovete sentire soli perché fuori ci sono tante persone che vi vogliono bene”.

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