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Intervista a Mons. Baturi: “la partecipazione alla politica non è partigianeria”

(Foto Siciliani – Gennari/SIR)

(Trieste) “La partecipazione non è partigianeria: fare politica significa cercare soluzioni giuste per noi e per le altre culture”. Mons. Giuseppe Baturi, segretario generale della Cei, traccia un primo bilancio della Settimana sociale di Trieste rileggendo il discorso del Papa ai 1.2oo delegati e mettendo l’accento sulla consonanza tra i temi trattati dal Pontefice e quelli indicati come priorità nella 50ª edizione dell’appuntamento che ha riunito i cattolici in Italia. “Partecipare alla democrazia significa non delegare l’azione sociale e politica ad altri, ma consentire a tutti di esercitare il proprio protagonismo nella costruzione del nostro futuro”, spiega: “Senza la partecipazione dei corpi intermedi e delle famiglie non solo si impoverisce la democrazia, ma c’è meno solidarietà”. “Più che pensare ad una forma di unità dei cattolici sotto forma di partito e a scelte contingenti, occorre pensare alle questione essenziali che possono essere discussi nei diversi ambiti”, la precisazione sulle forme di partecipazione alla politica del futuro.

Concludendo la Settimana sociale, il Papa ha lanciato un forte appello alla partecipazione, declinando una delle parole-chiave della Settimana sociale. Come raccogliere il suo invito?

Il Santo Padre ci ha ricordato che la partecipazione esige un amore sociale: l’amore per il prossimo, per il cristiano, diventa sociale, volontà che tutti gli uomini stiano bene, che vengano soccorsi nelle loro necessità, che vengano integrati, che non ci sia nessuno che sia scartato.

La partecipazione, per noi credenti, non è solo un dovere civico, ma un’esperienza di amore radicata nelle virtù teologali.

La partecipazione che rende sostanziale la democrazia si declina nella giustizia e nell’amore sociale per l’uomo dove far convergere altri uomini. La partecipazione, come ci ha detto il Papa non è partigianeria: fare politica significa cercare soluzioni giuste per noi e per le altre culture.

Francesco ha esortato il “popolo” di Trieste a portare avanti progetti di formazione e partecipazione alla politica partendo “dal basso”. Cosa significa per il futuro?

Significa promuovere la partecipazione di tutti, senza esclusione di nessuno, e in questo i lavori della Settimana sociale di Trieste sono stati di esempio per la modalità in cui si sono svolti, alternando il lavoro in plenaria con i laboratori – in cui sono state rappresentate tutte le componenti del popolo di Dio – e le buone pratiche disseminate in tutta la città, come esempi concreti di partecipazione in atto.

Partecipare alla democrazia significa non delegare l’azione sociale e politica ad altri, ma consentire a tutti di esercitare il proprio protagonismo nella costruzione del futuro. Senza la partecipazione dei corpi intermedi e delle famiglie non solo si impoverisce la democrazia, ma c’è meno solidarietà.

Da qui nasce la necessità di mettere in condizione di operare le associazioni, i movimenti, le parrocchie, il mondo del volontariato e quello educativo, in modo che emerga la libertà di ciascuno, con il proprio operato, di agire in favore della giustizia e di promuovere la libertà di ogni persona.

Un compito, questo, che il Papa ha affidato in modo particolare al laicato cattolico.

Il quadro in cui vanno inserite le parole del Papa è quello della distinzione tra ministeri e carismi.

Ai pastori viene affidato un compito educativo, quello di indicare i grandi valori e gli orizzonti, mentre ai laici viene chiesto un impegno concreto, di confronto e di proposte per arrivare a trovare soluzioni condivise.

Non dimentichiamo che le Settimane sociali sono nate dal movimento cattolico e dall’Opera dei congressi, che si sono subito occupati di temi come le organizzazioni sindacali, i contratti, le questioni agrarie… Il sottotitolo della prima Settimana sociale, svoltasi a Pistoia nel 1907, era: “Movimento cattolico e azione sociale. Contratti di lavoro, cooperazione e organizzazione sindacale. Scuola”. L’obiettivo, fin dall’inizio, è stato dunque quello di convocare all’appello tutti, nella distinzione dei ruoli, a stare dentro la storia, proponendo e scommettendo sulla politica e su ciò che la politica esige.

Francesco ha chiesto un supplemento di impegno sulla formazione, in particolare dei giovani. Si tratta di riprendere le scuole di formazione alla politica presenti negli scorsi decenni anche nel mondo cattolico o, a livello pubblico, di ridare corpo ad un “partito dei cattolici”?

Anche in questo credo che la Settimana sociale abbia dato dei segnali precisi. La formula migliore è riunire un un’unica realtà la riflessione, il dibattito nelle piazze e negli stand. Traslando l’esperienza vissuta a Trieste nella quotidianità ecclesiale,

credo che questo sia il momento di creare ambiti comuni, di proposta, in cui la riflessione porti poi all’azione concreta attraverso le varie forme di impegno sociale.

Uno stile sinodale, insomma, in linea con la Chiesa in uscita auspicata da Papa Francesco.

Più che pensare ad una forma di unità dei cattolici sotto forma di partito e a scelte contingenti, occorre pensare alle questioni essenziali che possono essere discusse nei diversi ambiti,

come è avvenuto in questi giorni nei laboratori, coniugando insieme riflessioni e proposte con la realtà concreta della vita, a partire dal basso.

La Settimana sociale non finisce a Trieste. Come continuerà il cammino di quello che possiamo definire “un cantiere”?

Nei prossimi mesi, già a partire da settembre, arriveranno proposte più concrete, soprattutto dalle Chiese particolari. L’idea è quella di riorganizzare e ripensare i luoghi dove già avviene il confronto tra le diverse componenti della comunità ecclesiali, come la Consulta ecclesiale degli organismi socio-assistenziali. La prospettiva è quella di una “rivitalizzazione” in chiave sinodale della partecipazione che già c’è. E che va incrementata, per far fiorire la democrazia nella Chiesa e nella società.