Trieste, 5 luglio 2024. 50 edizione delle Settimane sociali dei cattolici italiani, organizzato dalla Conferenza. Piazze della democrazia Ph Cristian Gennari/Siciliani

M.Michela Nicolais

Umanizzazione, autorità, partecipazione, patria, coraggio, lentezza, speranza. Sono alcune parole che le voci e i volti delle donne che partecipano alla Settimana sociale di Trieste – un terzo totale dei partecipanti – hanno scelto per descrive e sintetizzare la al Sir loro esperienza di democrazia vissuta “in stile sinodale”. Perché la Settimana sociale dei cattolici italiani, che si concluderà domani con l’intervento di Papa Francesco, continua sul territorio. E gli spunti per una riflessione creativa di certo non mancano.

Umanizzazione.

Rosa De Angelis, 35 anni, viene da Bologna, e  ci racconta di essere rimasta stupita dal tipo di partecipazione che ha caratterizzato le cinque giornate di Trieste: “Ho trovato molta più unità che diversità”, ci rivela a proposito della risonanza che si porterà a casa come spunto di riflessione, nel suo lavoro quotidiano per cui si occupa di migrazione, pace e diritti. La parola che la accompagnerà, dopo i giorni triestini, è “umanizzazione”: “i migranti non sono un problema, sono persone, come ci ha detto il cardinale Zuppi. Anche nel mio lavoro ci concentriamo sulla singola persona, sulle sue fragilità, cercando di valorizzare e potenziare le doti umane dei singoli, nel percorso di accompagnamento che facciamo insieme a loro”.

Autorità.

Anche Maria Rosa De Lucia, 26 anni, da Agrigento, è alla sua prima esperienza con le Settimane sociali. “Nella mia appartenenza all’Azione Cattolica – ci spiega – siamo continuamente sollecitati a vivere la fede nel mondo, da laici cristiani, negli spazi che abitiamo, come la politica, il lavoro, la scuola. Per questo il tema portante di questo appuntamento, la partecipazione, è molto in linea con la mia sensibilità e la mia formazione”. Tra i tratti che caratterizzano i mille delegati, Maria Rosa cita la volontà di dialogo, accompagnata dall’ascolto, in puro stile sinodale, e dunque “in linea con la Chiesa di oggi, che Papa Francesco concepisce come Chiesa in uscita”. “Mi ha colpito molto, tra le riflessioni ascoltati in aula, quella sull’autorità: siamo abituati ad associare questa parola al potere, ma non al fatto che tale autorità, secondo l’insegnamento di Gesù, appartiene a tutti e dunque va riconosciuta in ogni mio fratello”.

Partecipazione.

Suor Italina Parente viene da Brescia, e racchiude nella parola “partecipazione” il senso dell’appuntamento triestino: “è una provocazione sull’oggi, parla della necessità del risveglio del desiderio insopprimibile di libertà che deve stare al centro del dibattito democratico”.

Patria.

Dalla stessa diocesi proviene anche Caterina Calabria, insegnante e pedagogista, che promette di portarsi con sé come “compito a casa” il desiderio di “rivedere l’idea di patria, nella sua accezione non rivendicativa ma al contrario aperta, fraterna, che non lasci indietro nessuno”. “Essere protagonisti per il bene comune – aggiunge – vuol dire sentire l’altro, ascoltarlo, mettere al centro l’educazione e la formazione nella nostra attività quotidiana, con una particolare attenzione al sociale”.

Coraggio.

Miriana Macalusa ha 22 anni e viene da Monreale. Con il suo sorriso contagioso mostra tutto il suo stupore per essere stata scelta, così giovane, dal suo vescovo per un appuntamento così importante. “Il peso del coraggio”: è il messaggio forte che le è arrivato tramite la canzone “Che sia benedetta”, cantata da Amara sul palco di uno degli spettacoli serali di Trieste. Per lei, è la sintesi della sua esperienza da giovanissima delegata e nello stesso tempo la responsabilità che si sente di dover portare addosso, pur così giovane: “è facile dirlo, ma ricordarci quanta fatica comporti il coraggio di andare controcorrente, accettandone tutte le conseguenze a volte rischiose, è tutt’altra storia”.

Lentezza.

Valeria Minozzi, operatrice sociale, viene da Napoli e anche per lei è una “prima volta” ad una Settimana sociale. Legge questi giorni triestini come una sorta di oasi di pace e “militanza attiva” all’interno della “bulimia del lavoro” a cui purtroppo tutti noi siamo abituati. “Qui abbiamo avuto la possibilità di ritrovare la lentezza, l’equilibrio tra i tempi dell’ascolto, della riflessione e dell’impegno”, la sua testimonianza.

Speranza.

“I giovani di oggi sono scoraggiati, a volte si sono addirittura arresi”. Francesca Zancheddu, 26 anni, ha le idee chiare sui suoi coetanei. Ma, altrettanto lucidamente, ci fa partecipi della sua gioia per aver constatato che qui a Trieste si respira tutta un’altra aria. “Da più parti – ci dice – si è sottolineata l’importanza della partecipazione politica e della cittadinanza attiva. Nella Chiesa tutto questo è possibile: è l’unica realtà che fa davvero spazio ai giovani”. Nella sua terra, invece, molti giovani “non credono alla possibilità di riscatto: “l’unica soluzione per loro è partire, o continuare a dipendere da altri. Esperienza come quelle di Trieste danno ai giovani speranza e li invitano a sognare”.

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