Orban e Putin (Foto ANSA/SIR)

Gianni Borsa

Mentre a Trieste si discute – con franchezza e passione – di democrazia e partecipazione, di buona politica e di bene comune, della centralità di valori ispirativi, del protagonismo dei cittadini, di pace, giustizia sociale, famiglia e ambiente… sul piano internazionale va in scena tutt’altro “spettacolo”.

Sono di ieri i risultati delle elezioni nel Regno Unito.

Scontata la vittoria laburista dopo che, nell’ultima dozzina di anni, i conservatori sono riusciti a inanellare una tragica serie di errori – Brexit in testa – in grado di isolare il Paese con pesanti ricadute politiche, economiche e sociali. Un mix di nazionalismo, populismo e inadeguatezza della classe politica Tory ha quindi consegnato le chiavi di Westminster e di Downing Street al Labour e al suo leader Keir Starmer, che ora si trova nella scomodissima posizione di dover rimettere in sesto una nazione divisa e provata dal malgoverno. Tentando magari un riavvicinamento “settoriale” all’Ue, non potendo certo disconoscere il referendum del 2016 che ha alzato una barriera invalicabile tra Londra e i Ventisette.

Sempre di ieri è la visita di Viktor Orban alla corte di Putin.

Il premier ungherese non ha mai nascosto le sue simpatie per l’inquilino del Cremlino e più volte ha contestato l’impegno dell’Unione europea a fianco dell’aggredita Ucraina. Con una aggravante: Orban, infatti, dal 1° luglio è presidente di turno del Consiglio dei ministri Ue. E la sua visita a Vladimir Putin rischia di far intendere che qualcuno gli abbia dato mandato di stringere la mano all’aggressore Putin, oggi – piaccia o meno – “nemico” dichiarato della stessa Europa comunitaria. Il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, ha dichiarato che “la presidenza di turno dell’Ue non ha un mandato per dialogare con la Russia a nome dell’Unione”. Sulla stessa linea la presidente della Commissione Ursula von der Leyen: “L’appeasement non fermerà Putin e solo l’unità e la determinazione apriranno la strada a una pace globale, giusta e duratura in Ucraina”. Dal canto suo Putin non ha fatto altro che approfittare della mossa sbagliata di Orban, mettendo in luce una contraddizione profonda: può un premier filo-russo guidare in questa fase delicatissima il Consiglio Ue?

La politica riserva infinite sorprese.

In questa direzione si inserisce il turno di ballottaggio delle elezioni francesi di domenica 7 luglio. Un voto fortemente voluto dal presidente Emmanuel Macron dopo la sconfitta alle europee. Lo scioglimento dell’Assemblea nazionale e il ricorso alle urne sono stati universalmente giudicati come un azzardo. Macron avrà forse fatto i suoi conti. Rimane una certezza: la Francia è divisa sul piano politico, con le estreme – di destra e di sinistra – in cima alle preferenze degli elettori e la possibilità (il rischio?) che la guida del governo possa finire nelle mani di una destra nazionalista, anti-Ue e pro-Russia che impensierisce molti francesi e l’Europa nel suo complesso.

Un ultimo accenno alle elezioni statunitensi.

A novembre gli americani sceglieranno il prossimo presidente. Ma – pur nel rispetto dell’autodeterminazione a stelle e strisce – come trascurare il fratto che sia l’uscente Joe Biden, sia lo sfidante Donald Trump, suscitino più di una perplessità rispetto alla capacità di guidare la maggior potenza economica e militare al mondo?

Dubbi, forse. Perplessità, tante.

Che viste da Trieste, alla luce delle altissime parole del Presidente Sergio Mattarella, del card. Matteo Zuppi, e delle interessanti e coraggiose relazioni che risuonano alla Settimana sociale, appaiono ancor più fondate. Si conferma semmai la necessità – indilazionabile – di solida democrazia, di buona politica, di protagonismo e centralità dei cittadini. Vale per l’Italia – anche in casa nostra occorrerebbe un sincero “esame di coscienza” – come per il resto del mondo.

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