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Intervista al Vescovo Gianpiero: L’infanzia, la vocazione, le priorità e il messaggio ai fedeli della Diocesi

DIOCESI – Abbiamo intervistato il vescovo della diocesi di San Benedetto del Tronto – Ripatransone – Montalto e della diocesi di Ascoli Piceno, Mons. Gianpiero Palmieri.

Come si sono conosciuti i suoi genitori?
I miei genitori sono entrambi di Camerino, abitavano a poca distanza l’uno dall’altro e quindi si sono conosciuti ed innamorati fin dal periodo dell’adolescenza. Mia madre si chiama Maria Grazia, mentre mio padre, che è morto nel 2014, si chiamava Pietro. Papà era un geometra dell’ENI e quindi per lavoro ha dovuto girare per varie città, tra le quali Livorno, Taranto e poi Roma. Mamma è una maestra elementare, ha insegnato anche a Camerino e in tutti i luoghi in cui siamo stati.

Quando è nato e quando è stato battezzato?
Sono nato il 22 Marzo del 1966, nel periodo in cui i miei genitori erano a Taranto, e lì sono stato battezzato il 10 Aprile nella Parrocchia San Pio X. Siamo rimasti a Taranto per tre anni, poi ci siamo trasferiti a Roma.

Come ha vissuto gli anni della giovinezza?
Bene. Abitavo in quartieri di Roma tranquilli, privi di situazioni difficili. Inoltre, fin da bambino e poi anche da ragazzo, partecipavo alla vita della comunità parrocchiale, quindi in un ambiente protetto. Proprio lì, ad un certo punto iniziò, in maniera un po’ strana, a manifestarsi il desiderio di diventare prete.

Come è cresciuto poi questo desiderio? C’è stata qualche figura che le è stata vicina?
È stato fondamentale il fatto di rivolgermi, fin da bambino, ai sacerdoti della parrocchia, che mi hanno invitato a partecipare ai gruppi vocazionali del Seminario Minore di Roma. Sono entrato in seminario a sedici anni, in terzo Superiore. Un’esperienza molto interessante, anche perché coinvolgeva i ragazzi di tante parrocchie di Roma. C’era un discorso di fondo che ricordo chiaramente: era quello di sentire che la vita è un dono bellissimo di Dio, che chiede di essere accolto e speso bene, ascoltando quello che il Signore ispira. Non c’era alcuna forzatura nella direzione della vocazione sacerdotale: c’erano incontri mensili, campeggi estivi, esperienze spirituali molti forti per un adolescente. Anche quando sono entrato nella Comunità Interni, ero coinvolto per quattro giorni alla settimana, per il resto vivevo in famiglia, in parrocchia, con gli amici. Una formula che ho apprezzato moltissimo, perché fatta di accompagnamento e rispetto.

Come ha accolto la sua nomina a Vescovo?
È stata una notizia inaspettata. Io sono stato nominato vescovo il 18 Maggio del 2018, dopo essere stato parroco prima della parrocchia di San Frumenzio, poi della parrocchia di San Gregorio Magno, due quartieri molto diversi di Roma. Qualche anno prima mi era arrivata la voce che qualcuno avesse fatto il mio nome al nunzio, che è l’ambasciatore della Santa Sede presso lo Stato italiano, tra le cui mani passano le nomine episcopali. Ma era passato davvero molto tempo e non ci pensavo realmente proprio più, finché mi è arrivata una chiamata da parte della segreteria della nunziatura. Ho chiesto: “Perché il nunzio mi deve parlare?” E lui, in maniera non troppo cortese, mi ha risposto: “Non lo ha capito? Non se lo aspetta?” CLIC. A quel punto ho chiamato il Cardinale vicario, il quale mi ha confermato che il nunzio mi avrebbe chiesto di diventare vescovo ausiliario di Roma est. Io non ero molto intenzionato, a dire la verità, però sentivo forte l’amicizia del Cardinale vicario e degli ausiliari a Roma. Ho accettato perché erano miei carissimi amici. In un’altra situazione, con altre persone, probabilmente non avrei accettato.

Non ho detto niente a nessuno – come previsto – fino alla data dell’ufficializzazione della nomina. Solo cinque minuti prima ho chiamato mia madre, per avvisarla e fare in modo che non venisse a saperlo dai giornali o dagli amici comuni. Lei mi ha detto: “Va bene”. Poi, dopo avermi salutato, ha chiamato i miei fratelli e ha detto loro: “Sta per succedere questo. Sarà una cosa difficilissima”. E ha iniziato a fare una serie di problemi. I miei fratelli allora le hanno chiesto: “Ma almeno sei contenta?”. E lei: “Mmm … non l’ho sentito contento. Quando lo sentirò contento, allora sarò contenta pure io”.

Poi è arrivata la nomina come Vescovo di Ascoli …
Sì, papa Francesco mi ha chiamato e me lo ha detto. Sicuramente hanno giocato un ruolo decisivo le mie origini marchigiane e il fatto che una parte della mia famiglia fosse ascolana.

Come ha accolto la nomina a vescovo della Diocesi di San Benedetto?
Io e il vescovo Carlo abbiamo provato a parlare con il nunzio per capire se fosse opportuno o meno questo passaggio. Alla fine, papa Francesco ha fatto valere il suo punto di vista, ritenendo importante che le due Diocesi camminassero insieme sotto lo stesso vescovo e imparassero a collaborare in vista di una unificazione definitiva, che però ha bisogno del coinvolgimento di tutte le comunità.

Come ha deciso di dividersi tra Ascoli e San Benedetto?
Ancora non ho deciso. Credo che per il momento sarò presente in tutti e due i luoghi e dormirò ora da una parte, ora dall’altra. Un amico, in maniera spiritosa, mi ha detto: “Compra un camper e scrivici ‘episcopio’!”. L’immagine mi piace molto, perché dice che l’episcopio non è lì dove il vescovo aspetta che lo vadano a trovare, bensì lì dove il vescovo si avvicina e incontra le persone.

Rinnoverà e, nel caso quando, i diversi incarichi?
All’inizio confermerò tutti. Devo conoscere, ascoltare e capire, prima di prendere decisioni.

Come vede le unità pastorali? Spingerà in tal senso o spingerà anche verso la preghiera per delle nuove vocazioni?
Pregare per le vocazioni non è un optional: si deve sempre fare ed è il motore di ogni pastorale vocazionale.  Questo però non significa non rendersi conto che ci siano situazioni in cui non c’è più la possibilità di garantire la presenza stabile di un sacerdote nella parrocchia. Qui allora si aprono diversi scenari. Non importa che si tratti di una unità pastorale o di una comunità animata da un diacono o addirittura da un laico che ha il “ministero del catechista” (un modello che ad Ascoli è già presente): quello che importa è che in tutti la cura pastorale delle persone di quella parrocchia sia garantita.

Il cammino sinodale ci ha ricordato che la chiesa è fatta da tutti, clero e laici. I laici, anche se con fatica, stanno prendendo coscienza della loro corresponsabilità. I preti?
Io credo di sì. Il cammino sinodale chiama tutti ad una conversione, a riconoscere che tutti abbiamo bisogno gli uni degli altri: non è pensabile una comunità senza sacerdoti, perché non ci sarebbe chi celebra l’Eucaristia o chi amministra il perdono di Dio; ma non è pensabile neanche una comunità solo con sacerdoti che fanno tutto da soli.

Come vede il nostro clero?
Sono molto colpito, perché, nell’unico incontro che abbiamo fatto di condivisione aperta tra di noi, ho visto sacerdoti appassionati, per la Chiesa e per l’evangelizzazione. Credo che sia un clero che sente con lucidità il compito che ci aspetta in questo tempo. Li incontrerò uno per uno, lì dove vivono ed esercitano il loro ministero.

Pensa di fare anche la visita pastorale?
Sì, certo, sicuramente. Non so ancora quando, ma la farò fra non molto, perché io credo che per un vescovo conoscere una realtà parrocchiale sia importante e preziosissimo.

Come valorizzerà la Scuola di Formazione Teologica?
La formazione teologica non deve essere riservata solo ad alcuni, perché gli studi biblici, teologici, filosofici intercettano profondamente le domande di tutte le persone. La Scuola dunque va potenziata, magari organizzandola in moduli concentrici: alcuni più generali e brevi per renderla accessibile a più persone, altri più corposi e specifici per chi vuole approfondire.

A livello pastorale a cosa darà la priorità?
Due sono le parole chiave del cammino sinodale: l’ascolto e l’evangelizzazione. L’ascolto, tra noi e verso tutti, deve condurre ad un discernimento; quindi, a capire cosa lo Spirito Santo ci indica per realizzare l’evangelizzazione, che, a sua volta, si compone di due parti: l’annuncio del Vangelo e la collaborazione con tutti per la trasformazione del mondo, affinché sia più umano, più fraterno, più ricco di speranza per tutti. Quindi la priorità va a tutte quelle conversioni a cui il Signore ci chiama in vista dell’Evangelizzazione.

Cosa si sente di dire ai giovani?
Prendete sul serio le ricerche più profonde che abitano in voi! So che avete delle domande importanti nel cuore e una grande sete di senso. So pure che spesso siete lasciati soli e che pensate sia meglio un confronto acceso con un adulto, piuttosto che essere ignorati. Mi piace stare a questo gioco e vi dico che ci sono tanti adulti, coraggiosi e pieni di generosità, che sono disposti a venirvi incontro. Ai giovani e a questi adulti coraggiosi, dico di sentirsi protagonisti attivi. Quando un ragazzo dice: “A me non sta bene questo della Chiesa o della mia parrocchia”, si tratta di un’affermazione preziosissima e noi dobbiamo prenderla sul serio.

Quale pensiero vuole rivolgere alle famiglie?
La comunità cristiana sa quanto sia faticoso per una famiglia custodire il senso di una fedeltà reciproca, di una dedizione ai figli e di una educazione di un certo tipo, in un tempo in cui si è portati all’individualismo. La Chiesa vi è vicina, lo è davvero. Il Vangelo è bellissimo: ci permette di vivere la dimensione della famiglia con una ricchezza straordinaria.

Una persona risposata, che segue il Gruppo Orchidea della nostra Diocesi, costituito da chi vive situazioni di separazioni o divorzi o unioni o nuovi matrimoni, le chiede cosa pensa dell’Eucaristia per i divorziati risposati.
Papa Francesco in Amoris Laetitia, capitolo 8, ci ha dato dei criteri importanti: per ogni situazione va fatto un discernimento specifico, che, a seconda della persona, può condurre il confessore ad accompagnarla anche a ricevere i Sacramenti dell’Assoluzione e dell’Eucaristia. Questa decisione è frutto di due sinodi dedicati alla famiglia e di una votazione, fatta da un’ampissima maggioranza, molto più alta di due terzi. Su questi temi è necessario che sia le persone sia i sacerdoti siano accompagnati.

E invece alle persone anziane, che vivono la solitudine, cosa possiamo dire?
Che Chiesa è loro vicina. Spesso la solitudine per gli anziani è amara, non perché non abbiano nessuno con cui parlare, ma perché si sentono abbandonati dagli affetti più cari. La comunità cristiana non può togliere questa amarezza, ma la può alleviare. Una comunità cristiana, che comunica il Vangelo, sa che ogni vita è preziosa e che anche un anziano lasciato solo può fare tanto, a tanti.

Che messaggio vuole lanciare ai fedeli delle sue due Diocesi?
Camminiamo insieme! Non abbiamo paura di questo! Tante persone mi hanno comunicato perplessità, incertezze, timori. A questi cristiani dico che io farò in modo che il mio tempo sia meno legato alle questioni amministrative e burocratiche e più dedicato alla prossimità alle persone, alle comunità, in modo particolare ai sacerdoti. A tutte le altre persone, che invece condividono con entusiasmo la novità, dico di aiutare anche gli altri a riconoscere le possibilità che si aprono a camminare insieme. Due comunità cristiane, che custodiscono grandi tesori di storia, tradizione, arte e cultura, possono solo arricchirsi reciprocamente ed essere un seme fecondo per tutto il territorio.

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