Giovanna Pasqualin Traversa
Nuovo paradigma.Tra contratti temporanei in aumento e crollo delle retribuzioni in termini reali, è boom fuga di medici dal Servizio sanitario nazionale. “La sanità non deve continuare a rispondere solo a priorità di carattere economico. È necessario un nuovo paradigma:
prima occorre definire gli obiettivi di salute e gli strumenti assistenziali; poi, partendo da questi, allocare le risorse necessarie”,
il monito di Filippo Anelli, presidente nazionale Fnomceo (Federazione nazionale ordini medici chirurghi e odontoiatri), intervenuto questa mattina al convegno “Dall’economia al primato della persona. Cambiare il paradigma per rilanciare il Servizio sanitario nazionale”, in corso a Roma per iniziativa della Federazione. Nel corso dell’evento è stato presentato il secondo rapporto Fnomceo-Censis, “Il necessario cambio di paradigma nel Servizio sanitario: stop all’aziendalizzazione e ritorno del primato della salute”. “L’84,5% degli italiani – si legge nel report – è convinto che avere troppi medici con contratti temporanei o intermittenti indebolisca la sanità. L’87,2% reputa prioritario migliorarne le condizioni di lavoro. Per il 92,5% occorre assumere subito medici e infermieri nel Servizio sanitario, per dare un taglio rapido alle liste di attesa”.
La spesa totale per le retribuzioni dei medici nella Pubblica amministrazione tra il 2012 e il 2022 è rimasta sostanzialmente invariata, registrando un +0,2%, con -2,5% tra il 2012 e il 2019 e un +2,8% tra il 2019 e il 2022. Addirittura,
tra il 2015 e il 2022 le retribuzioni dei medici nel Ssn sono diminuite, in termini reali, del 6,1%.
Del resto, si legge nel report, “posto pari a 100 il valore delle retribuzioni dei medici dipendenti italiani, nei Paesi Bassi è pari a 176, in Germania a 172,3 e Irlanda a 154,8: i medici italiani guadagnano molto meno dei colleghi di altri paesi omologhi”. Per riempire i vuoti lasciati da quelli “in fuga” si è fatto ricorso a contratti temporanei e addirittura a forme di forniture di servizi. Considerate le unità annue di lavoro a tempo determinato e interinali, per le figure sanitarie si registra, dal 2012 al 2022, un balzo di +75,4%. Nello stesso periodo, le figure sanitarie stabili, a tempo indeterminato, sono aumentate solo del 2,6%, mentre la spesa per lavoro a tempo determinato, consulenze, collaborazioni, interinale e altre prestazioni provenienti dal privato è stata pari a 3,6 miliardi di euro nel 2022, con un incremento del +66,4% rispetto al 2012. Nello stesso periodo, la spesa per il personale permanente è aumentata solo del 6,4%.
Un approccio “aziendalistico”, spiega la ricercatrice Sara Lena illustrando il Rapporto, che “impone il rispetto dei vincoli di bilancio e il primato economico sulla tutela della salute, vincolando l’autonomia decisionale dei medici” e ponendoli “in posizione subordinata rispetto ai responsabili economico-finanziari della sanità”. Ecco perché il presidente Fnomceo insiste sulla necessità di“un nuovo paradigma che metta al primo posto la centralità assoluta della tutela della salute, della prevenzione e del follow up, introducendo i principi del governo clinico nella gestione delle risorse e l’attribuzione ai medici di un ruolo essenziale in questi processi decisionali”.
Per l’economista Stefano Zamagni, “la salute è una funzione con 5 variabili: sanità, stili di vita, condizioni di lavoro, ambiente e strutturazione sociale; è quindi necessaria un visione globalista per non scaricare tutte le responsabilità sulla sanità”. Di “bellissima occasione per riflettere sulla centralità della persona, sul percorso di cure e sulla capacità di sacrificio del personale sanitario”, parla il presidente della Regione Lazio, Francesco Rocca. “Non ci sarà una sanità efficiente e per tutti se non saranno create le condizioni per un’espansione del numero di medici, convinti che val la pena lavorare in modo permanente nel Servizio sanitario”, il monito di Francesco Maietta, responsabile area consumi, mercati e welfare del Censis. Di qui alcune “indicazioni operative molto precise, da intendersi come altrettante priorità: avere più medici con retribuzioni più gratificanti in linea con quelle di un numero consistente di paesi europei; impegnare più risorse pubbliche per ampliare la capacità di erogare prestazioni e accogliere pazienti in una sanità alle prese con gli effetti dell’intenso invecchiamento della popolazione”. Infine,
ridare centralità al medico restituendogli autonomia decisionale sulle prestazioni appropriate,
oggi limitata dai vincoli di budget e da altri lacci imposti dal primato dell’economia.
Autonomia differenziata. Tra i medici desta preoccupazione il futuro della sanità alla luce dell’autonomia differenziata: “Siamo contrari al fatto che una professione come quella medica possa essere gestita in maniera differente da Regione e Regione”, afferma Anelli. “L’esercizio della professione medica – spiega – fa riferimento al codice di procedura civile che rientra nelle competenze statali. Credo sia importante definire meglio cosa possa significare una delega sulle professioni” perché, conclude,
“non vorremmo domani avere 21 professioni mediche diverse in tutto il Paese”.