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Sorelle Clarisse: I suoi passi tracceranno il cammino

DIOCESI – Lectio delle Sorelle Clarisse del Monastero Santa Speranza di San Benedetto del Tronto.

Anche questa domenica ci troviamo di fronte al racconto di una chiamata. La scorsa settimana abbiamo incontrato Ezechiele ed ascoltato le parole attraverso le quali Dio lo ha inviato al suo popolo.

Oggi ascoltiamo le parole del profeta Amos: «Non ero profeta né figlio di profeta; ero un mandriano e coltivavo piante di sicomoro. Il Signore mi prese, mi chiamò mentre seguivo il gregge. Il Signore mi disse: “Va’, profetizza al mio popolo Israele”».

Cosa ci insegnano Ezechiele e Amos? Che profetizzare non è una professione ma una missione affidata da Dio, che quanto loro vivono e testimoniano viene solo da Dio che opera in loro e per loro.

E’ quanto cogliamo anche dalle parole che Gesù rivolge ai suoi discepoli, lo leggiamo nella pagina evangelica che, oggi, la liturgia ci propone.

«Gesù chiamò a sé i Dodici e prese a mandarli a due a due e dava loro potere sugli spiriti impuri. E ordinò loro di non prendere per il viaggio nient’altro che un bastone: né pane, né sacca, né denaro nella cintura; ma di calzare sandali e di non portare due tuniche».

Innanzitutto, per amare occorre essere in “relazione”; per questo Gesù, la prima cosa che fa, è chiamare a sé i suoi discepoli: ovvero, punto di partenza è innanzitutto la relazione con il Signore, lo “stare” con il Signore, bagaglio fondamentale del nostro camminare.

Passo successivo è «mandarli a due a due». Mandati, inviati da Dio e non da decisione propria – ritorna qui quanto ci hanno detto Ezechiele e Amos –, mandati per un progetto in cui il discepolo è coinvolto, ma di cui non è il regista.

«A due a due», perché “due” è principio di comunione, di una fede comune e non personale, di una interiorità che non si isola ma si arricchisce della compagnia dell’altro.

Ancora…per amare occorre non possedere nulla, perché finché si posseggono cose, si daranno cose e non se stessi.

Povertà è libertà, leggerezza: un discepolo appesantito dai bagagli diventa sedentario, conservatore, incapace di cogliere la novità di Dio. Bastano un bastone, dimensione dell’appoggiarsi solo in Dio, e dei sandali. Nell’antichità il sandalo era la calzatura degli uomini liberi, mentre gli schiavi andavano a piedi scalzi. Se ci si fa elargitori dell’essere e non dei beni, se cominciamo a guarire le ferite degli uomini risollevandoli alla loro dignità, allora sapremo veramente cosa significa essere liberi, altrimenti resteremo schiavi del nostro egoismo.

«…dava loro potere sugli spiriti impuri…», cioè quei pensieri, quelle logiche, quegli atteggiamenti che ci rendono divisi in noi stessi; «…scacciavano molti demoni – cioè il male che si annida nei nostri cuori -, ungevano con olio molti infermi e li guarivano».

Chi annuncia il Vangelo, infatti, deve essere libero di lasciar trasparire solo l’amore di Dio che dona vita, l’unico bene in grado di guarire, di sanare.

Chi annuncia, poi, non ha interessi personali da proteggere, nemmeno posizioni da mantenere, né bisogno di influenzare gli altri con le proprie convinzioni. Al contrario, chi annuncia si mostra bisognoso di accoglienza: «…dovunque entriate in una casa – leggiamo ancora nel Vangelo -, rimanetevi finché non sarete partiti di lì», ma, allo stesso tempo è pronto ad andarsene se gli altri non volessero ascoltare: «Se in qualche luogo non vi accogliessero e non vi ascoltassero, andatevene e scuotete la polvere sotto i vostri piedi come testimonianza per loro»; nessuna violenza, nessuna pretesa, nessun rancore, scuotere la polvere dai calzari è scuotere, toglierci di dosso, il risentimento e la logica dell’insuccesso. Ezechiele ed Amos ce lo ricordano: non siamo noi i registi della missione, noi siamo inviati, mandati da Dio.

Come scrive San Paolo alla comunità di Efeso, è dalla sua Parola che viene la speranza di essere stati liberati da ogni colpa e colmati di ogni sapienza e intelligenza; dalla sua Parola viene la certezza che ogni cosa prende senso e culmina in Cristo. Questa sola Parola siamo chiamati a servire e portare perché quanti più uomini e donne possano toccare con mano che Dio è colui che libera e guarisce, colui che ha preparato una eredità che non esclude nessuno ma conduce tutti alla pienezza di vita.

Nella certezza, come canta il salmista, che «Il Signore donerà il suo bene […] i suoi passi tracceranno il cammino».