A cura del direttore Pietro Pompei
Per prepararci al meglio a vivere la festa in onore di Santa Maria della Marina, riscopriamo la storia della nostra Cattedrale.
Sul n. 15 dell’anno IV dell’Operaio, settimanale parrocchiale diretto da don Francesco Sciocchetti, primo parroco della nuova chiesa di Santa Maria della Marina, in data 5 Aprile 1908, così è scritto: “Lunga e dolorosa è la storia della fabbrica della nuova chiesa”. È tutta in questa espressione la storia della più grande chiesa della nostra città, pronunciata il giorno dopo l’inaugurazione, da Chi ebbe il merito di portarla a termine, anche se in forma ridotta rispetto al progetto iniziale, dopo 61 anni dalla posa della prima pietra.
“Lunga e dolorosa”, perché è inciampata in un momento storico particolare con uno Stato Pontificio in crisi attaccato da movimenti interni e da forze esterne. Questa crisi si portava dietro odi e rancori in un giudizio incapace di una demarcazione tra potere temporale e spirituale. Subì i cambiamenti frequenti delle Amministrazioni e gli umori diversi delle stesse; tuttavia personaggi autorevoli, lasciando da parte le proprie passioni politiche, si convinsero che era necessario, a causa della rapida crescita della popolazione, un luogo ampio dove manifestare la propria religiosità e poter socializzare. In fondo sono le stesse motivazioni che più di due secoli precedenti spinsero le Autorità del tempo a costruire una modesta chiesa che venne chiamata Madonna nella Spiaggia. Proprio da questa chiesetta dobbiamo partire per avere una storia completa della nostra Basilica-Cattedrale.
Dobbiamo sapere che, poco più di un secolo prima della costruzione di detta chiesa che porta la data del 1615, il Castello di San Benedetto, a causa delle continue pestilenze, doveva essere abbandonato. Pur avendo ottenuto il permesso da Papa Innocenzo VIII di impiantarne uno nuovo presso Monte Aquilino, non se ne fece nulla. Intanto due fatti si verificarono nel sedicesimo secolo: una forte immigrazione dalla Romagna e dalla parte Nord delle Marche a coprire i posti rimasti vuoti a causa del contagio; inoltre, a causa delle continue inondazioni dell’Albula, si stavano formando ampi spazi dei “relitti di mare” che bonificavano le zone acquitrinose sotto il Castello e nello stesso tempo creavano le possibilità di costruire “pagliari e magazzini” che ben presto lasciarono il posto a modeste case di pescatori. In seguito all’accresciuto numero di queste abitazioni, si sentì la necessità di costruire una chiesa che nell’intenzione della Comunità doveva essere affidata ai Frati Minori Conventuali. A differenza dei Paesi vicini, che potevano vantare un’economia florida derivante dall’agricoltura, la pesca era povera e non si riuscì ad andare oltre una modesta costruzione, senza alloggi e senza campanile, che in un primo momento fu affidata ad un Eremita (come scrive il Liburdi, il quale aggiunge: “Un progetto semplice ma non inelegante barocchetto”). La chiesetta fu costruita all’incrocio tra la strada litoranea che ormai si andava delineando sui “relitti di mare” sotto le mura castellane e l’unica strada che da Porta Antica scendeva sulla spiaggia, dando luogo alla Piazza del Mercato lungo la via dei Pescivendoli dalla quale diramava in parallelo via Labirinto (oggi piazza Cesare Battisti e via XX Settembre).
Posta in quel luogo la Chiesa subì le angherie delle frequenti guerre e fu più volte usata come alloggio per le truppe e rimessaggio. Veniva consacrata e sconsacrata ad un tempo, derubata di tutti gli arredi, privata dei quattro altari laterali. Solo l’affresco sull’altare maggiore restò, muto testimone delle misere gesta umane: “Un affresco di autore ignoto raffigurante la Madonna in atto maternamente affettuoso e soccorrevole”. (Il Liburdi aggiunge: forse da quest’immagine Padre Pizzi volle che l’Ospedale a cui aveva lasciato tutti i suoi beni fosse intitolato alla Madonna del Soccorso).
Proprio Padre Gioacchino Pizzi fu il primo parroco, quando con Breve Pontificio del 27 Novembre 1820 la chiesa della Madonna, ormai comunemente chiamata della Marina, divenne la seconda Parrocchia cittadina. La proprietà era rimasta al Comune che più nulla fece per la manutenzione. Nonostante gli interventi in proprio di Padre Pizzi che restò parroco fino alla sua morte nell’anno 1837, la costruzione era sempre più fatiscente a causa dell’umidità e delle frequenti inondazioni dell’Albula.
Morto Padre Pizzi la Parrocchia fu data in modo provvisorio a don Gaetano Fedeli di Ripatransone e poi a don Gregorio Vallorani, parroco di San Benedetto Martire. Dal 1840 la parrocchia fu affidata ai Padri Filippini, detti anche Oratoriani che erano presenti a Ripatransone. E come secondo parroco fu nominato Padre Vincenzo Maria Michettoni, uomo di grande cultura che ricordiamo per la dotta ricostruzione della lapide riguardante la vita del nostro Patrono e per aver arricchito la chiesa delle reliquie di Santa Urbica e Sant’Illuminato. A lui successe Padre Saverio Desideri come terzo parroco.
Ormai la popolazione era in continuo aumento e furono i Padri Filippini che si resero conto della necessità di una nuova chiesa in altro luogo, vista l’impossibilità di ampliare quella esistente. Dopo varie richieste e faticosi accordi con le Autorità Municipali, fu scelto come luogo idoneo per innalzare un Tempio che potesse contenere migliaia di persone, il terreno posto tra l’attuale strada statale e via Del Merlo ( oggi Volturno). Il progetto fu affidato all’architetto Gaetano Ferri di Bologna che in quel periodo insegnava presso l’Università di Macerata. Progetto ambizioso e di grande impegno finanziario che la Comunità Sambenedettese non era in grado di sostenere. Fu pertanto affidato, per un ridimensionamento e una “prudenziale semplificazione”, all’ingegnere ascolano Ignazio Cantalamessa. Così il 16 Maggio 1847 il Vescovo diocesano Giovan Carlo Gentili, con gran concorso di popolo, pose la prima pietra. Le paventate difficoltà economiche, miste all’incertezza degli avvenimenti storici che stavano interessando tutta l’Italia, aggiunte a continue incomprensioni tra le Autorità locali e i Padri Oratoriani, fecero si che i lavori, iniziati con tanto entusiasmo, fossero interrotti quando le mura perimetrali avevano raggiunto l’altezza di un metro.
Ben presto i Padri Oratoriani abbandonarono l’impresa ed anche la città, lasciando nella vecchia chiesa una tela “di media grandezza e di ottima scuola settecentesca” (Liburdi) dono del cossignanese Padre Giacomo Cantucci, con raffigurata la Madonna con Bambino che ancor oggi veneriamo. Intanto il cantiere abbandonato, con tutto il materiale accumulato per la costruzione, fu meta continua di persone che fecero piazza pulita di tutto, lasciando alle ortiche le mura appena iniziate. E fu tale lo scempio da suggerire ad alcuni Amministratori la demolizione completa del manufatto.
Intanto, dal 1848 nella vecchia chiesa si alternarono tre sacerdoti con il solo compito della “cura delle anime” e di amministratori, fino al 31 dicembre 1887, anno in cui fu nominato, come quarto parroco, don Francesco Sciocchetti.
Il nuovo parroco si trovò subito a gestire varie emergenze fra le quali quella dell’alluvione del 6 luglio 1898 che rese inagibile la vecchia chiesa. Fu necessario trasportare tutti gli arredi sacri, compresa la tela della Madonna della Marina, nella vicina chiesa di San Giuseppe costruita nel 1872 “ con l’obolo dei fedeli e con l’opera solerte e zelante di due compianti benefattori Can. Benedetto Spaletra e il Sig.Pietro Rocchi.
Con don Sciocchetti, (lu Curate, per antonomasia; la nostra città ancora non ha compreso pienamente l’importanza della sua opera in tutti i settori della vita religiosa e civile, limitandosi al solo moto-pesca) fu rispolverato l’antico progetto sul quale era intervenuto anche un illustre architetto romano Virginio Vespignani. Lu Curate ebbe l’incondizionato appoggio del Vescovo Giacinto Nicolai, originario di Monteprandone e per dieci anni parroco della chiesa di San Benedetto Martire. La popolazione fu sensibilizzata allo scopo, come scrive il Catani, con una pubblica sottoscrizione “con offerte popolari di 10 centesimi”. Ma i fedeli non fecero solo questo, dal racconto dei nostri nonni e genitori, abbiamo appreso come essi si adoperarono manualmente alla realizzazione della loro chiesa.
“I lavori ripresero il 1901 con la volontà di restringere alquanto le proporzioni del faraonico progetto: questa volta fu l’architeto Giuseppe Rossi, di Macerata, con l’approvazione del celebre architetto Giuseppe Sacconi di Montalto, a mettere mano al disegno del Ferri-Vespignani e fece terminare la chiesa là dove le tre navate dovevano innestarsi con la crociera del primitivo progetto” (Catani)
Così il 4 Aprile 1908 “ la nostra marina su cui Dio sparse tanta grazia di sorriso , vede finalmente compiersi un lungo desiderio nell’Inaugurazione del nuovo tempio” ; così scriveva don Francesco sul suo giornale. Il dinamico parroco non si fermò lì, ma abbellì la nuova chiesa, con l’aiuto del fratello pittore don Luigi Sciocchetti, con ben 6 altari laterali “di pregevole fattura” e una cappellina riproducente la grotta di Lourdes.
Il quinto parroco, don Giuseppe Rossi fece costruire la gradinata esterna e la facciata su disegno del prof. Sanzio Giovannelli, nonché il pavimento in graniglia. Gli successe come sesto parroco don Costantino Calvaresi, il quale, con l’interessamento del Vescovo Mons. Vincenzo Radicioni, portò a compimento la facciata esterna e nell’interno fece allungare la navata centrale con l’abside; fu aggiunto anche un tozzo campanile.
Lavori impegnativi che furono conclusi dal settimo parroco, unico sambenedettese, don Mario De Angelis. Va ricordato che nel 1977 la chiesa si era arricchita di un altorilievo raffigurante la grotta della Madonna di Lourdes, opera dello scultore Aldo Sergiacomi di Offida; mentre sul rifatto fonte battesimale, campeggia una tela del nostro pittore Armando Marchigiani.
Del Sergiacomi è pure “l’opera commemorativa dei fratelli Sciocchetti, a destra della porta d’ingresso, che narra con un bel bassorilievo le gesta dei due fratelli preti e che conserva nella lunetta un’opera raffinata di don Luigi, raffigurante la Madonna della Marina, con tenue scena di paranze, che una volta era collocata nella scomparsa cappella della Madonna di Lourdes”. (Catani). Qui è esposto l’artistico Albo d’Onore dei Caduti Civili del Mare che il Circolo dei Sambenedettesi istituì il 3 Novembre 1990.
Nel 1983 Papa Giovanni Paolo II elevava la città di San Benedetto del Tronto a città vescovile e decretava con atto pontificio del 30 settembre 1986, la nostra chiesa, nuova Cattedrale dell’unica Diocesi di San Benedetto- Ripatransone- Montalto.
L’ottavo parroco don Gian Paolo Civardi ha dotato la nuova Cattedrale di un grande organo di 3.500 canne, proveniente dalla Basilica di Loreto. Data l’importanza acquisita dal tempio e in seguito alle riforme liturgiche, il Vescovo Mons. Giuseppe Chiaretti ha proceduto ad altre importanti opere di ristrutturazione quali: il restauro del presbiterio con un nuovo altare maggiore, la costruzione della cappella del Santissimo Sacramento, della sacrestia e della porta laterale destra con accesso per i disabili. “Ma l’opera più significativa è senza dubbio la decorazione dell’abside, che il pittore Ugolino da Belluno, religioso cappuccino, ha affrescato dal Giugno al Dicembre del 1993, coadiuvato dal nipote Silvio Alessandri” (Catani).
Il nono parroco è stato don Luciano Paci, di Ripatransone, come lo sono stati ben cinque suoi predecessori. Durante il suo parrocato è stata resa più accogliente la cappella del SS. Sacramento. Si è provveduto al rifacimento del tetto, alla nuova illuminazione e alla nuova fonica. In coincidenza dell’Anno Santo 2000 il Vescovo, Mons. Gervasio Gestori, ha dotato il Campanile di una nuova campana e ha voluto che fosse posta sulla gradinata esterna una statua in marmo bianco intitolata alla “Stella del Mare” opera dello scultore ripano Giuliano Pulcini. Per volere dello stesso Presule la nostra Chiesa della Madonna della Marina, è stata elevata a Basilica Cattedrale.
Il decimo parroco don Armando Moriconi è rimasto fino al 15 Novembre 2015, quando è subentrato Mons. Romualdo Scarponi da molti anni parroco di San Benedetto Martire e Vicario generale della Diocesi. Sono questi gli anni catastrofici del terremoto e della pandemia, che hanno portato gravi limitazioni alle attività pastorali. Raggiunta l’età canonica, Mons. Romualdo è stato sostituito da don Patrizio Spina, anch’egli Vicario generale della Diocesi.
In questi anni, a causa dei disastri provocati dal terremoto, si è dovuto limitare l’uso della Cattedrale e apportare quei lavori necessari per ristabilire l’agibilità. In seguito a ciò sono state apportate delle migliorie. Con l’occasione dei lavori sono state commissionate e predisposte quattro tombe al di sotto dell’altare della Madonna di Lourdes. In un primo momento è stata predisposta la buca attraverso un’attenta opera di rimozioni controllate, smontando e catalogando i singoli elementi costituenti la decorazione dell’altare. Successivamente è stato seguito un taglio controllato della pavimentazione costituita dal pregevole seminato “alla veneziana”. Nel rispetto delle procedure operative da eseguirsi su beni artistici e architettonici di pregio, gli elementi rimossi sono stati catalogati e archiviati per consentire future integrazioni al presentarsi di fratturazioni o lacune nella esistente pavimentazione.
Dopo aver posizionato i fornetti in calcestruzzo prefabbricato, è stato ricollocato il componimento lapideo che adornava l’altare. Infine il tutto è stato rifinito con marmo di Carrara. Ricordiamo che una prima tomba è stata occupata dal nostro primo Vescovo Mons. Giuseppe Chiaretti; una seconda da Mons. Gervasio Gestori. Anche il vescovo emerito Mons. Carlo Bresciani ha manifestato il desiderio di essere sepolto qui, quando quel tempo arriverà.
Si è voluto intervenire anche sulla statua della Madonna che fu provvisoriamente collocata sul sagrato della cattedrale. Si è deciso quindi di modificare la profondità della nicchia per permettere l’alloggiamento della statua e conseguentemente di ricollocarla dove era stata concepita in origine. La statua una volta posizionata è stata debitamente ancorata per non permettere eventuale ribaltamento in fase sismica.
Con l’intento di perseguire un ottimo risultato finale, è stata realizzata, donata e posizionata una copia della pala raffigurante la pietà di Cristo (dipinto originario del XIII secolo) sulla controfacciata della cattedrale, dall’Impresa Gavioli Restauri come ringraziamento alla Diocesi per il lavoro affidato.
Su tutta la cornice della navata centrale è stata dipinta una preghiera alla Madonna della Marina (L’Ave Maris Stella) che si sviluppa intorno all’aula centrale. Tale scritta è stata ispirata e posizionata nello stesso luogo dove originariamente era già presente un’ode alla Vergine ed è stata valorizzata dal rinnovato sistema di illuminazione, esteso all’intera cattedrale.
C’è da dire anche delle migliorie apportate nella cappella del Santissimo e fare un breve ragionamento sulle porte istoriate.
La Porta che è stata aperta nel Giubileo è quella secondo il quarto Vangelo di Giovanni: la porta del gregge, la porta del buon Pastore, la porta che è Gesù in persona; la Porta su cui gli ultimi due Pastori ( i Papi) hanno presentato una nuova esegesi. Benedetto XVI: “Se uno è un vero pastore, lo si dimostra quando entra attraverso Gesù come porta”. Aggiunge Francesco: “I pastori della Chiesa devono far sentire l’odore delle pecore”. È lo stesso Papa che alla porta giovannea dà un altro nome: “ La Porta della Misericordia”.
Per quanto riguarda l’altra Porta, tutte e due opera del nostro concittadino Paolo Annibali, intitolata Ianua Virginis, il nostro Vescovo emerito Carlo ebbe a scrivere: “La porta Ianua Virginis ci ricorda che Maria è la Vergine Madre, la porta attraverso la quale Dio introduce Gesù nel mondo e i fedeli all’incontro con Lui”.
Ed aggiunse: “Attraverso la porta della Misericordia di Cristo e quella della Vergine Maria, le due porte della nostra cattedrale, entriamo a far parte del corpo di Cristo, che è la Chiesa, per celebrare le lodi di Dio, ascoltare la sua parola e ricevere nei sacramenti la sua misericordia che salva”.
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