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Tra i giovani c’è un pericolo neofascismo?

Foto Calvarese/SIR

Di Maurizio Fiasco

 

L’opinione pubblica più avvertita è rimasta scioccata. Gli educatori, e in generale quanti sentono di dover assolvere a un compito di promozione di valori civili e religiosi di rispetto della persona, ancora provano autentica angoscia per le immagini agghiaccianti dei cori violenti, razzisti, antisemiti documentati da una seria inchiesta giornalistica. Non resta, qual prima medicina, che tentare di capire (e di ricordare).
Un’analisi oggettiva pone in risalto l’eco dei richiami ideologici e degli atteggiamenti tristemente noti, nel decennio 1975-1985, della destra rivoluzionaria “movimentista”. Oltre quarant’anni non sono valsi a estinguerli e a seppellirli. Rivelano anche oggi una micidiale attualità.

Perché non fu solo propaganda, a supporto di atroci violenze, ma anche intercettazione di umori, frustrazioni, aggressività negli strati sociali delle periferie urbane delle grandi città come delle province.
La pedagogia perversa si diffondeva allora con la collocazione – ben più di una “infiltrazione”, peraltro tollerata da alcuni club – del neofascismo “antisistema” nei gruppi organizzati delle tifoserie calcistiche (e di altri sport, come il caso del Varese Basket). Dalla seconda metà degli anni Settanta, fino a tutti gli anni Novanta, in tal modo, i cascami delle formazioni eversive e terroristiche dell’estrema destra individuarono proprio l’ambiente dei supporter ultrà lo spazio da strumentalizzare.

E così machismo, bullismo, turpiloquio, antisemitismo, ripresa dei simboli truci del Ventennio e del nazismo sono divenuti una costante, che in tanti decenni si è via via attualizzata anche con la fraseologia del razzismo etnico, contro i neri che fanno parte delle squadre di football, con l’odio rivolto agli immigrati.“Natura non facit saltus”.

Il neofascismo è a un tempo effetto e causa della crisi sociale, morale, economica. Con il risentimento che lievita nella sofferenza senza speranza (e senza illuminazione di cultura valoriale) di ampi strati della popolazione “ai margini”, riemerge come un fiume carsico gran parte dell’armamentario di ideologia, miti, simboli e narrazioni che compongono il paganesimo del fascismo e del nazismo.

E allora proviamo a tracciare un’agenda delle riflessioni urgenti, cui far seguire una ben finalizzata e attrezzata azione morale, educativa e chiarificatrice (anche verso le istituzioni). Ecco gli argomenti che ci paiono inderogabili.

Il primo è il pericolo “tremendo e universalmente” sottovalutato della esibizione (com’è indubbiamente apparsa nei video di Fanpage) dei simboli e dei miti della “religione della morte”,

che è la seduzione incombente del neofascismo. Simboli e miti hanno continuato a replicarsi e a essere alimentati anche in raduni, all’apparenza innocui dove dissimulati nella sequenza di “idee senza parole” si consegnano ai giovani, acculturati “al rovescio”, narrazioni tanto esoteriche quanto banali: “identità”, “sostituzione etnica”, “comunità nazionale” (sottinteso: unificata sotto una guida forte), ritorno ai valori tradizionali e all’identità nazionale come forma di rivoluzione culturale contro la modernità e la globalizzazione…
Un secondo focus va riposto sulle “esperienze” materiali.

Le più diffuse maturano, come accennato, nel “combattere” facendo parte nelle tifoserie violente. È lì che trae origine e si cronicizza una dipendenza ossessiva dal gruppo, in una friend addiction dal gruppo stigmatizzato. Dipendenza rinforzata quando, per fermare le violenze, si schierano reparti di polizia in assetto antisommossa. In questi gruppi, o aggregazioni gassose, vi è inoltre uno scheletro invisibile: elementi della malavita che mettono in pratica la technicality della violenza programmata. Il caso di Diabolik è paradigmatico: era capo ultrà, trafficante di droga e cerniera tra la tifoseria e l’estremismo di destra.
Il terzo focus, più scomodo e controverso, ma non eludibile, è la reticenza nei livelli istituzionali. Reticenza e omissione di autocritica. Non sono pochi, infatti, i moduli espressivi (della comunicazione verbale e di quella non verbale) che sono compatibili con gli atteggiamenti rivelati da Fanpage.

La conversione è innegabilmente necessaria: a monte vi è una originaria formazione “politica”, oggi abiurata, ma ancora echeggiante in ricordi presenti nelle cronache di una manciata di anni addietro.