Enrico Platania
“Non è una utopia… Una giustizia di riconciliazione, ma anche una giustizia di speranza, di porte aperte, di orizzonti… questa non è una utopia, si può fare, non è facile, ma si deve tentare”.
Papa Francesco.
(Convegno nazionale dei cappellani delle carceri italiane)
Nel luogo dove l’unica misura diventano i tuoi passi, dove ben presto ogni movimento fatica a mantenere la naturalezza, osservi, inesorabilmente, un corpo, in dialogo con le anonime fragilità, trasformarsi; nulla può essere rimosso, soltanto rimisurato: giorno, alba, mattino, sera, colazione, pranzo, cena e ogni altra attività mondana, non sono più dove li hai lasciati…non sei più a casa tua!
La temporalità del carcere segna il dialogo con ogni altra attività vivente. L’antico discorso, il recente celato incomincia ad essere svelato, ciò che hai sperato rimanesse sepolto eternamente, viene messo in luce; ogni tuo tentativo di rimozione non è più efficace, vieni smascherato: improvvisamente sei pubblico scandalo; ogni sguardo che si posa su di te è un pugno nello stomaco, ti stordisce e impaurisce nel medesimo istante; sì, ogni singola fitta, è misura personale ma lo percepisci benissimo quanto sia dolore collettivo, generalizzato; e qui mi fermo, ho tanto pudore a riportare il “dolore degli altri”.
Degli altri ho osservato, ho ascoltato, per oltre un quarto di secolo, le opinioni personali e le risposte collettive; così ho “scoperto” quanto le preghiere personali, rivolte nei momenti più insonni, fossero condivise non solo nelle cappelle delle carceri.
I luoghi dove si perpetua il sempre uguale quotidiano, creano una frattura verso una atemporalità: la preghiera è diacronica, aconfessionale, multietnica, ecumenica: nella preghiera ritroviamo l’estensione dell’umanità. Proprio da qui si ricomincia.
Ed io che ho trovato ristoro nella letteratura generale – dalle letture filosofiche ai pensieri più confessionali – ho fatto esperienza di quanto sia comune il fine “salvifico” di entrambe le dimensioni: temporale e atemporale; intelletto e fede sono come due binari paralleli che ti condurranno ad un’unica meta, disponibile ai comuni mortali, l’accessibile “verità”.
Desidero condividere un particolare episodio, accaduto poche settimane addietro.
Da circa due mesi vivo un’esecuzione della pena diversa, (la semilibertà); impiegato presso una cooperativa e, dopo un breve colloquio con il presidente della cooperativa, condivisi un peso che mi porto dentro: < Quando a Gerico passa Gesù, racconta il Vangelo di Luca, il piccolo (di statura) Zaccheo, esoso e detestato esattore di tributi, per vederlo sale sul sicomoro. Quando scese dall’albero Zaccheo promise a Gesù che avrebbe restituito quattro volte tanto a tutti coloro che aveva frodato.
Così conobbi Marcella, Pierpaolo, Ivana, Pina, Salvatore, ed altri, ma ti racconto di questa mia esperienza per chiederti se conosci la signora Ivana Cancedda, deceduta diversi anni addietro e dalla quale ricevetti una lettera mira-colosa: “Carissimo Enrico, come stai? Anche se non ti ho mai scritto sei sempre nei miei pensieri. Io sto abbastanza bene; continuo le mie terapie di mantenimento e per ora pare sia tutto ok! In occasione della Santa Pasqua sono stata a Međugorje con la mia famiglia e mi ero riproposta di salire sul monte Križevac, impresa non facile soprattutto per chi, come me, non ha condizioni fisiche ottimali, ma il Signore ha voluto che ce la facessi anche perché non ero sola: ho portato con me tutti voi! Arrivata in cima, sulla Croce Bianca ho pregato per voi, presentandovi, uno ad uno, chiedendo a nostro Gesù Cristo di entrare nel tuo cuore e darti ogni giorno speranza e forza. Ti mando questo piccolo pensiero: in questo fazzoletto sono raccolte le lacrime che sgorgano dalla statua del Cristo Risorto. Vorrei che le te-nessi sempre con te affinché tu abbia la protezione della Santa Vergine e….. anche il mio ricordo. Ti abbraccio con affetto Ivana” (Tempio 21/08/2015)
Alla conclusione di questa mia esperienza mi accorsi dell’espressione di gioia sul viso di Gianpaolo: “certamente, frequentavamo lo stesso gruppo giovanile; era una donna allegra, gioiosa e solare”.
Ivana nel 2019 non riuscì a vincere il male che l’aveva attaccata e morì. Manifestai la volontà di prendere parte al funerale, ma le mie condizioni detentive non mi permisero di partecipare. Un giorno Ivana mi mostrò le foto dei figli e si vedeva il volto illuminarsi: oggi vorrei poterli incontrare e dire loro che la mia salvezza, la mia semilibertà è da attribuire soprattutto all’incontro, avvenuto in carcere, con la loro madre e con le altre persone venute a trovarci: dalle pene ci si può sollevare solo invertendo tutti i paradigmi: le mure delle carceri non devono creare zone d’ombra, ma consentire alla luce d’illuminare i cuori e le menti di chi espia una pena, ma anche di tutti gli operatori penitenziari e di tutte le figure professionali che vi svolgono le loro funzioni, spesso in condizioni di particolare disagio.
Ancora oggi conservo il fazzoletto donatomi da mia sorella Ivana Cancedda.