DIOCESI – Lectio delle Sorelle Clarisse del Monastero Santa Speranza di San Benedetto del Tronto.
«Venite in disparte, voi soli, in un luogo deserto, e riposatevi un po’». Inviati in missione, lo abbiamo letto nel Vangelo della scorsa domenica, oggi troviamo i discepoli radunati di nuovo attorno a Gesù «e gli riferirono – scrive l’evangelista Marco – tutto quello che avevano fatto e quello che avevano insegnato».
C’è il momento della missione e dell’impegno e c’è il momento del riposo, c’è il momento dell’accoglienza e c’è il momento della solitudine. Un riposo, però, che non si irrigidisce nelle sue esigenze, anche legittime, ma si mantiene aperto ad una fondamentale disponibilità. «Allora andarono con la barca verso un luogo deserto, in disparte. Molti però li videro partire e capirono, e da tutte le città accorsero a piedi e li precedettero».
Gesù ha visto la stanchezza dei discepoli e li porta in disparte a riposare ma, davanti al bisogno estremo delle folle che non sanno lasciarlo andare perché la loro vita è in affanno, cambia programma e si prende cura di loro: «Sceso dalla barca, egli vide una grande folla, ebbe compassione di loro, perché erano come pecore che non hanno pastore, e si mise ad insegnare loro molte cose».
«…ebbe compassione…»: l’evangelista Marco usa un verbo che indica proprio la contrazione delle viscere, quella profonda pietà e tenerezza che è tipica delle madri nei confronti dei figli.
Pietà a tenerezza che, nella prima lettura, fanno parlare Dio in termini di rimprovero verso coloro che avrebbero dovuto prendersi cura del popolo: «Guai ai pastori che fanno perire e disperdono il gregge del mio pascolo […]. Voi avete disperso le mie pecore, le avete scacciate e non ve ne siete preoccupati; ecco, io vi punirò per la malvagità delle vostre opere».
Ma dopo il rimprovero ecco la promessa al popolo: Dio stesso si impegna a far ritornare dalla dispersione dell’esilio un resto, cioè una porzione del popolo che egli si era scelto e a costituire su di essa pastori giusti e saggi che, scrive il profeta Geremia, «le faranno pascolare, così che non dovranno più temere né sgomentarsi…».
Ma in cosa consistono questa compassione, questa cura?
Subito potremmo pensare che, concretamente, corrispondano all’esaudimento di ogni desiderio.
Miracoli, guarigioni, resurrezioni…no! Gesù non guarisce nessuno, non compie miracoli; leggiamo, infatti, nel Vangelo: «si mise ad insegnare loro molte cose». Gesù parla, dona alla folla la Sua Parola, una Parola capace di illuminare, dare luce a quello che facciamo, viviamo, soffriamo, una Parola che sa riempire, dare senso, orientare.
Non una Parola di pietà, buonista, ma la parola che è quel “fatto concreto” su cui poggiare e leggere tutta la nostra esistenza, nelle sue gioie e nei suoi dolori.
Una Parola, come canta il Salmista, che dà riposo, che rinfranca l’anima, guida per il giusto cammino, che è bastone e appoggio, una Parola che sfama, accompagna, che non ci fa mancare di nulla, che ci permette di attraversare la vita e ogni esperienza di vita consapevoli della compagnia del Signore.
Quella stessa Parola attorno alla quale, poco prima, Gesù aveva riunito anche gli apostoli di ritorno dalla missione; apostoli che vogliono riferire al loro Signore «tutto quello che avevano fatto e quello che avevano insegnato». Perché è la Parola che ci fa comunità, che ci fa gregge riunito attorno al Pastore, perché è questa intimità vera con Gesù e la sua Parola che ci fa essere persone amate e non più folla assetata, affamata, smarrita, dispersa.
Allora buon cammino e buona strada a tutti in compagnia della Parola che ogni giorno il Signore, per sua grazia, non manca mai di donarci!