GROTTAMMARE – Da pochi giorni l’imprenditore ed inventore grottammarese Daniele Spina ha ricevuto il riscontro positivo dell’Ufficio Brevetti Europeo per la sua invenzione denominata “Dub4H2”, una centrale idroelettrica che promette energia infinita dalle onde marine. Lo abbiamo intervistato per conoscere meglio la sua storia e la sua invenzione.

Intanto complimenti per il suo brevetto! Come si diventa un inventore?
Sinceramente un po’ capita e un po’ si sceglie. Io sono da sempre un imprenditore. Sin da giovanissimo, infatti, ho amministrato l’azienda di famiglia attiva nel settore della stampa. Negli anni ho coltivato diverse altre attività che mi hanno consentito di acquisire molte esperienze sia in Italia che all’estero. Anche grazie al mio lavoro, sono sempre stato appassionato di tutto ciò che è tecnologia, processi industriali, innovazione. Il lavoro mi ha condotto anche a cercare di migliorare i prodotti che produciamo e a trovare soluzioni innovative che possano risolvere problematiche comuni esistenti. In particolare sono inventore di un brevetto mondiale in PCT, già protetto in tutto il mondo, che consente una regolazione attiva di caldo, freddo, umidità e ventilazione all’interno delle calzature, attraverso un device affogato nella suola della scarpa, gestito da un’app per smartphone. Ma indubbiamente il brevetto di cui sono più orgoglioso, anche per la portata innovativa e rivoluzionaria, è senza dubbio quello che lei ha citato e che attualmente è in patent pending. Certamente la recente “Written Opinion” emessa dall’Ufficio Brevetti Europeo, che ha accettato tutte le mie rivendicazioni, dichiarandole “nuove” ed “inventive”, mi fa ben sperare in un successivo passo in avanti.

Ci può spiegare in cosa consista l’invenzione brevettata?
Con piacere! Si tratta di un “impianto idroelettrico a inseguimento di onde marine e di marea con riempimento di serbatoio in quota e relativo metodo di posizionamento”. Può essere installato sul fondale oceanico di poche decine di metri ed è in grado di convertire tutta l’energia delle onde marine in avvicinamento verso la costa. Le onde vengono convogliate su un lato dell’impianto a  pianta quadrata oppure rettangolare da due paratoie, che intercettano orizzontalmente una sezione di onda ben più estesa. Essa sarà costretta a concentrarsi e quindi a sollevarsi, perché è stata predisposta una sorta di battigia artificiale che si eleva bruscamente, fino in corrispondenza del colmo della sponda mobile di un grande serbatoio.

Quindi lei pensa di riuscire a sollevare ulteriormente l’enorme massa dell’acqua delle onde per ottenere energia gravitazionale?
Sì. Accadrà esclusivamente grazie alla conversione delle energie cinetica e potenziale che ogni singolo metro orizzontale di onda ha ricevuto dal vento. Come lei saprà, l’acqua viene colpita in un dato luogo dell’oceano da enormi masse d’aria in movimento, in altre parole dal vento. Quell’energia trasferita (e non l’acqua) comincia a viaggiare per migliaia di chilometri, con una scarsa dissipazione, fin quando non “rompe”, principalmente a causa dell’innalzamento del fondale, scaricando violentemente la suddetta energia contro le coste, al termine della sua lunga corsa.
Proprio come accade, ad esempio, ad una frusta, alla quale viene impressa all’impugnatura una forza, la quale viaggerà nelle onde della corda ma si scaricherà solo in punta. La frusta non ha viaggiato, mentre l’energia sì. Ecco, noi abbiamo creato l’ostacolo orizzontale e verticale che consente all’energia delle onde di focalizzarsi e incanalarsi come nelle rapide di un torrente di montagna.
Il flusso dell’acqua dell’onda, “rotta” dal nostro ostacolo, non può che assumere la forma del contenitore, che, stringendosi lateralmente e sollevandosi dal basso, costringerà quella massa d’acqua, al termine della sua corsa, ad innalzarsi e a sversare nel serbatoio.

Una volta riempito il serbatoio in quota, cosa accade?
Il fondo del serbatoio, costituito dalla somma delle testate di speciali turbine, è bucato in corrispondenza dei versanti produttivi dei due rotori di ciascuna turbina. Quando l’onda che ha riempito il serbatoio sarà passata, il cavo dell’onda consentirà all’acqua intrappolata nel serbatoio di precipitare verso i rotori posti in basso, i quali grazie alla forma propria inizieranno a ruotare, azionando un alternatore che altro non è che un generatore elettrico al contrario.
Se ipotizzassimo un serbatoio quadrato in mare di 50×50 metri, avremmo in condizioni ideali 5.000 metri cubi di acqua (5.000 tonnellate) che cadrebbero a piombo sulle turbine posizionate in batteria da un’altezza media di circa 76 metri per ogni singolo periodo dell’onda, che è di circa 10 secondi. Idealmente ciò accade più di 3 milioni di volte all’anno. Un’enormità di Joule e di conseguenza di kW!

L’energia che lei produrrebbe dovrebbe essere trasferita sulla terraferma e immessa nella rete elettrica di un paese rivierasco, magari modesto, che potrebbe non averne bisogno. Cosa se ne farebbe dell’energia in avanzo?
Ho pensato anche a questo e per tale ragione l’idea è quella di convertire tutta l’energia delle onde, sempre variabile ed incostante, per alimentare in loco un impianto elettrolitico in grado di separare e immagazzinare, di giorno e di notte, per 365 giorni all’anno, i due gas che compongono l’acqua: l’ossigeno, ma soprattutto l’idrogeno. Neanche un watt di energia andrebbe sprecato ed otterremmo l’unico carburante che, dopo l’utilizzo, attraverso una reazione elettrochimica, produce acqua pura come residuo. L’idrogeno verde sarà il carburante del futuro, in grado di alimentare navi, aerei, automobili, industrie, senza emissioni nocive di alcun tipo. Ma nel nostro caso rappresenterebbe anche il miglior mezzo per trasferire, dove serve, l’energia prodotta in mare e – perché no! – riconvertirla in elettrica.

Ha considerato che il livello degli oceani e dei mari, specialmente lungo le coste, varia costantemente a causa delle maree?
Le superfici oceaniche sono divise in aree a diversa altezza di marea. Esse possono elevarsi fino a 16 metri dal livello del mare calmo nella baia di Fundy in Nord America. Mediamente, però, ad esempio nel Nord Atlantico, in prossimità delle coste si raggiungono picchi di marea di 3 o 4 metri due volte al giorno, ad eccezione delle aree costiere dall’aspetto morfologico particolare dove la marea è più alta (macrotidal). Quasi tutti gli impianti installati nel mondo per lo sfruttamento delle onde marine sono di tipo galleggiante, cosa che consente ad essi il giusto posizionamento verticale sfruttando la legge di Archimede, ma al contempo essi non sono in grado di sfruttare la quasi totalità dell’energia dell’onda emersa e soprattutto neanche di quella sommersa, che semplicemente scivola sotto. Al contrario la nostra centrale elettrica, fissata al fondale, è studiata per permettere sia alle turbine (e di conseguenza al fondo del serbatoio), sia alle sponde del serbatoio, sia alla battigia artificiale, di sollevarsi lentamente per 6 ore circa, di abbassarsi altrettanto lentamente per le successive 6 ore e di ripetere l’operazione 2 volte al giorno, perché 2 sono le maree nelle 24 ore.
Computando le maree di ciascun giorno, le condizioni meteomarine, la velocità, il tipo e l’altezza dell’onda e moltissimi altri dati, un sofisticato software sarà in grado di raggiungere in autonomia il più produttivo posizionamento dei componenti dell’impianto in ogni istante.

Quanta energia verde ritiene si possa produrre con queste ipotetiche centrali?
Infinita! Consideriamo inoltre che un impianto occuperebbe solo lo 0,0025 kmq di mare, mentre ad esempio il parco eolico Hornsea 2 nel Mare del Nord occupa ben 462 kmq. Senza parlare dei costi e della resa! La nostra centrale Dub4H2 potrebbe essere replicata un indefinito numero di volte nella stessa area di oceano.

Quali sono i punti di debolezza del progetto?
I principali problemi, tutti superabili, risiedono nella difficoltà di operare nelle aree più energetiche degli oceani, che approssimativamente sono quelle a Nord e a Sud del pianeta. L’altro problema risiede nella solidità necessaria per la realizzazione delle strutture dell’impianto, che dovranno affrontare le forze della natura, che talvolta ed in alcuni luoghi sembrano mostruose. Non esiste un elevato numero di soggetti al mondo in grado di realizzare l’impianto. Per questo motivo l’investimento economico iniziale sarebbe alto, ma aggiungo che sarebbe abbondantemente ripagato dalla produzione di energia pulita in tempi relativamente brevi.

Perché ha battezzato la centrale “Dub4H2”?
Perché l’impianto idroelettrico nella sua dicitura inglese – “Watt from Windgenerated Water Waves For Hydrogen” – è composto da 4 parole che iniziano con la lettera W (“Double U” in inglese, oppure informalmente “Dub”), e il 4 (four) suona anche come “for” (che significa “per”) H2, ovvero con la finalità di produrre molecole d’idrogeno gassoso.

Qual è il suo sogno?
Vorrei vedere realizzata la mia idea, ma soprattutto mi piacerebbe contribuire ad abbassare la soglia dell’inquinamento prodotto dai combustibili fossili, che stanno distruggendo il nostro meraviglioso pianeta. L’idea che già esistano navi o aerei con propulsori ad idrogeno, che al pari degli altri svolgono lo stesso servizio all’umanità ma anziché avvelenare emettono acqua come prodotto di scarto, mi fa associare il lavoro di questi nuovi motori al fantastico lavoro degli alberi, che catturano l’anidride carbonica e ci regalano ossigeno come sottoprodotto della fotosintesi. Credo che saranno proprio le onde, insieme alle piante, a salvare il mondo!

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