A Khan Younis i combattimenti sono sempre più vicini all’ospedale Nasser, l’ultima struttura ospedaliera funzionante nel sud di Gaza. Con l’avvicinarsi dei combattimenti sono a rischio l’operatività della struttura e l’accesso a cure mediche in un momento di enorme bisogno: nel solo mese di luglio i team di Medici senza frontiere (Msf) che lavorano negli ospedali Nasser e Al-Aqsa hanno risposto a 10 episodi di afflussi di massa di feriti gravi, a seguito di attacchi e combattimenti nelle aree circostanti. “L’evacuazione dell’ospedale avrebbe effetti devastanti”, denuncia Msf, chiedendo con urgenza a tutte le parti in conflitto di “garantire alla popolazione un accesso sicuro alle cure mediche e di evitare l’evacuazione dell’ospedale Nasser, che metterebbe in pericolo centinaia di pazienti”. “Qualsiasi escalation dei combattimenti nei pressi dell’ospedale ostacolerebbe l’accesso ai pazienti e al personale medico, rendendo impossibile fornire assistenza”, afferma Jacob Granger, coordinatore dei progetti di Msf a Gaza. “Il sistema sanitario è completamente decimato e l’evacuazione di centinaia di pazienti e di forniture mediche, più o meno rapidamente, sarebbe comunque impossibile. Avrebbe conseguenze devastanti per le persone della zona che non hanno nessun altro posto dove andare. Chiudere l’ospedale Nasser non è un’opzione”.

L’ospedale Nasser assiste circa 550 pazienti, tra cui persone con gravi ustioni e traumi, neonati e donne incinte. Le persone attualmente ricoverate nell’ospedale hanno bisogno di cure continue e salvavita, comprese quelle che richiedono un alto livello di assistenza, ossigenoterapia o un monitoraggio ravvicinato. Essendo l’ultima struttura ospedaliera principale nel sud di Gaza, l’ospedale Nasser fornisce anche un supporto essenziale a diverse altre strutture sanitarie nell’area circostante, compresa la produzione di ossigeno. “Nel corso di questo mese ogni giorno è stato uno shock dopo l’altro. Il 24 luglio mentre stavo controllando il pronto soccorso ho trovato una bambina, stava morendo da sola. È rimasta sola e non so chi siano i suoi familiari. Non c’era nessuno. E questo è il risultato di un sistema sanitario al collasso: una bambina di otto anni che muore da sola su una barella del pronto soccorso. In un sistema sanitario funzionante sarebbe stata salvata” dice Javid Abdelmoneim, responsabile medico di Msf a Gaza.
Secondo il ministero della Salute, i livelli di sangue nella banca del sangue dell’ospedale Nasser sono a livelli critici a seguito di cinque ondate consecutive di pazienti feriti, con circa 180 morti e 600 feriti. Una persona su dieci, tra chi si è offerto volontariamente di donare il sangue durante un’attività di raccolta supportata da Msf, non ha potuto farlo a causa dell’anemia o della malnutrizione.
Nell’ospedale di Al-Aqsa, il pronto soccorso non è riuscito a lavorare in modo efficace perché sovraccarico di pazienti. Prima della guerra, l’ospedale di Al Aqsa aveva circa 220 posti letto, ma attualmente nell’ospedale ci sono 550-600 pazienti ricoverati. Il 22 e il 27 luglio, le forze israeliane hanno emesso due ordini di evacuazione a Khan Younis, provocando un altro sfollamento di massa e riducendo ulteriormente lo spazio a disposizione delle persone. Secondo l’Ocha, dal 22 al 25 luglio, circa 190.000 palestinesi sono stati sfollati a Khan Younis e Deir Al-Balah. Dall’inizio della guerra, secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, a circa 1,7 milioni di persone è stato consigliato di spostarsi in un’area di 48 km², che rappresenta il 13% della Striscia di Gaza. Sebbene le cosiddette zone umanitarie si siano rivelate poco sicure a Gaza, l’esistenza di tali aree non esime le parti in guerra dall’obbligo di proteggere i civili, ovunque essi si trovino. “Per quasi 10 mesi, si è visto che nessun luogo di Gaza è sicuro”.

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