Daniele Rocchi
Con otto atleti, la Palestina sta gareggiando alle Olimpiadi in corso a Parigi (26 luglio-11 agosto). Si tratta della sua ottava partecipazione nella storia dei Giochi Olimpici, resa ancor più significativa dalla guerra in corso a Gaza tra Israele e Hamas. Non è un caso che uno dei due portabandiera alla cerimonia di inaugurazione, svoltasi sulla Senna, è stata la nuotatrice Valerie Tarazi, scelta, spiega al Sir Nader Jayousi, Vicesegretario generale del Comitato Olimpico Palestinese e capo-delegazione a Parigi, “perché proviene da una delle
famiglie più antiche di Gaza. L’orgoglio e il coraggio che la legano alla Palestina dimostrano che Gaza dà sempre vita a talenti sportivi”. Il secondo portabandiera, invece, è stato il pugile di Ramallah, Wasim Abusal, “scelto perché si allena in Palestina e ciò dimostra il miglioramento delle capacità di allenamento nel nostro Paese per competere in un evento sportivo così importante”. Sette degli otto atleti in gara partecipano grazie ad un invito da parte del Cio, mentre solo un atleta, Omar Ismail, ha ottenuto la qualificazione nel taekwondo maschile. Jayousi ci tiene ad elencare la sua squadra, oltre ai due portabandiera, e Omar Ismail, di Jenin ma che si allena negli Emirati arabi uniti, ne fanno parte, dice con orgoglio, “Faris Badawi, judoka, che vive in Germania e che rappresenta la diaspora palestinese, Mohammed Dwedar, da Gerico e che correrà gli 800 metri, così come Layla Almasri, atleta che vive negli Usa ma che ha le sue radici e Nablus, il tiratore Jorge Salhe, palestinese che vive in Chile, e il nuotatore Yazan Al-Bawab”.
Jayousi, lei guida la delegazione palestinese a Parigi. Cosa significa per lo sport del suo Paese partecipare a un evento mondiale come le Olimpiadi?
Molte cose. Innanzitutto testimonia la crescita del nostro movimento sportivo, non siamo sicuri di vincere qualche medaglia nei giochi attuali, ma siamo certi che assaggeremo l’oro nei prossimi Giochi Olimpici. Essere a Parigi vuole dire anche custodire e proteggere la nostra identità nazionale dalle minacce che subiamo. Siamo orgogliosi di far parte di questo grande evento sportivo per mostrare l’unità della nostra delegazione, atleti che rappresentano tutti i palestinesi, dalla Cisgiordania, da Gerusalemme, da Gaza e dalla diaspora. Tutti sfollati dalle loro case. Questa opportunità di riunire tutti i caratteri palestinesi preserva la nostra identità nazionale. Non da ultimo, a Parigi vogliamo mostrare al mondo intero quanto siano forti, determinati e resilienti i palestinesi.
Non cerchiamo sguardi pietosi ma vogliamo che le persone siano solidali con noi e con la nostra giusta causa.
Le gare sono già cominciate. Questa mattina scenderà sul tatami Fares Badawi, mentre il pugile Wasim Abusal ha concluso la sua prima esperienza olimpica, perdendo contro il suo omologo svedese Ibrahim Nabil. Il nuotatore Al-Bawab, con il terzo posto nella sua batteria non è riuscito a qualificarsi. Con quale spirito stanno gareggiando questi atleti?
Con lo spirito di un palestinese combattivo, uno spirito che non muore mai, che non si arrende mai.
È lo spirito resiliente dei bambini palestinesi di Gaza: gli atleti sanno di portare avanti i sogni dei nostri bambini a Gaza e in tutta la Palestina.
È il sogno di ogni palestinese che cerca un momento di pace.
In che modo la guerra ha influenzato lo sport palestinese? Con quali conseguenze?
Ha avuto un impatto notevole a causa della chiusura totale del settore sportivo palestinese. Inoltre, i nostri atleti avrebbero dovuto allenarsi e prepararsi per le fasi di qualificazione delle Olimpiadi, ma sono stati privati di questo diritto a causa delle restrizioni di movimento imposte da Israele; quindi, ha avuto un impatto notevole sulle loro prestazioni. Ma finalmente ci siamo, i nostri atleti hanno una mentalità forte e adattabile che li ha aiutati a superare le sfide che hanno dovuto affrontare negli ultimi 6 mesi, tenendo sempre lo sguardo rivolto alla bandiera e al popolo palestinese.
Lo sport diffonde valori di condivisione, tolleranza e rispetto in tutto il mondo. Può diventare uno strumento per promuovere la pace?
Lo sport è un linguaggio universale tra le nazioni e ci auguriamo vivamente che diventi anche uno strumento di pace in questi tempi così duri e difficili che stiamo affrontando come popolo palestinese.