Di Daniele Rocchi
Ismail Haniyeh, leader politico di Hamas, è stato ucciso questa notte a Teheran, dove si trovava per partecipare alla cerimonia d’insediamento del presidente Massoud Pezeshkian, in seguito a un raid israeliano. Haniyeh era capo dell’ufficio politico di Hamas dal 2017. Inoltre è stato primo ministro dell’Autorità nazionale palestinese dal 2006 al 2007 e capo dell’amministrazione della Striscia di Gaza dal 2014 al 2017. Sulle implicazioni di questa morte per il conflitto tra Hamas e Israele in corso a Gaza e per il futuro di Hamas, il Sir ha intervistato Claudio Bertolotti, esperto dell’Ispi e direttore di Start InSight.
Direttore, qual è la portata politica e militare dell’eliminazione di Haniyeh?
Per Israele si tratta di un grande successo perché rappresenta la decapitazione politica, sebbene temporanea, dell’organizzazione Hamas. Stiamo parlando, infatti, del soggetto di vertice che ha ricoperto storicamente ruoli chiave all’interno del movimento islamista e che ad oggi si era imposto come il trait d’union tra Hamas e l’Iran che ha sostenuto il movimento palestinese nel corso degli ultimi anni, in particolar modo dopo il 7 ottobre.
Per Israele si tratta di una grande vittoria anche dal punto di vista comunicativo.
L’obiettivo più volte dichiarato da Benjamin Netanyahu resta quello di eliminare la leadership politica di Hamas e questo è un risultato che il premier israeliano presenterà all’opinione pubblica interna. Al contrario, l’eliminazione di Haniyeh farà aumentare l’astio dell’opinione pubblica palestinese nei confronti di Israele.
Per Hamas, invece, questa morte cosa rappresenta?
Con la morte di Ismail Haniyeh, Hamas segna una battuta di temporaneo arresto politico.
Siamo davanti ad un’organizzazione strutturata sulla base di una shura, cioè di una suprema assemblea dove sono presenti più voci, più correnti, e dunque anche più soggetti pronti a sostituire le leadership eventualmente eliminate. Dalla gerarchia palestinese potrebbero emergere adesso figure come Mahmoud al-Zahar, (uno dei fondatori del gruppo terroristico, ndr.), un leader storico con buone relazioni sia con chi è all’estero e sia con chi è presente ancora a Gaza.
La morte del leader di Hamas potrà influire sulla guerra in corso a Gaza?
Non credo. La gestione militare delle risorse di Hamas all’interno di Gaza ricade sulle Brigate Ezzedin al-Qassam e non sull’autorità politica. Al contrario, credo che, da un punto di vista di narrativo e di necessità di propaganda, Hamas potrebbe cercare di realizzare azioni di rappresaglia simbolicamente significative. Questo anche per riaffermare una certa predominanza rispetto a tante altre milizie che operano a Gaza, come la Jihad islamica, che pure ha un ruolo subordinato in questo momento.
Un indebolimento militare di Hamas viene visto con attenzione da tutte le altre milizie che adesso operano all’ombra del movimento islamista. Potrebbe aprirsi anche uno scenario di competizione interna, con Fatah pronto a riempire questo eventuale vuoto lasciato da Hamas.Haniyeh era uno dei principali negoziatori dell’accordo per la liberazione degli ostaggi e lo scambio con i detenuti palestinesi nelle carceri israeliane. La sua morte in che modo influirà sulla sorte degli ostaggi?
Non credo che avrà una ripercussione diretta, certamente molto dipenderà da chi assumerà la leadership politica del movimento, in particolar modo dell’ufficio estero di Hamas. Non dimentichiamo che dentro Hamas ci sono due realtà: chi governa o comunque amministra e gestisce la guerra a Gaza, e chi, invece, rappresenta il movimento all’estero. La gestione dei prigionieri è al tempo stesso politica, ma anche molto pratica e viene portata avanti da chi è all’interno della Striscia di Gaza. Quindi molto dipenderà da quelle che saranno le relazioni che verranno a instaurarsi fra l’ala militare di Hamas, le Brigate Ezzedin al-Qassam, e quella politica del movimento.
L’uccisione di Haniyeh, oggi a Teheran, segue, a breve distanza, quella del numero 2 di Hezbollah, a Beirut, di Fuad Shukr, considerato da Israele responsabile della strage di bambini nel villaggio druso di Majdal Shams e di numerosi altri civili israeliani. Queste eliminazioni potrebbero avvicinare ulteriormente Hamas all’Iran e ai suoi proxy e preparare, ancora di più, il terreno a un allargamento vero e proprio del conflitto a Gaza?
Le relazioni tra i proxy iraniani a livello regionale non possono consolidarsi più di quanto non lo siano già. Sono infatti a un livello altissimo. Però si potrebbe aprire uno scenario peggiore dovuto, in questo caso, alla scelta di agire tutti in maniera più coordinata sotto la regia iraniana. Per quanto riguarda Israele, queste azioni punitive ma preventive, sono volte a limitare la leadership dei vari movimenti – Hamas, Hezbollah, milizie sciite in Siria e in Iraq – e le loro capacità militari e politiche. Azioni preventive e decisamente più risolutive sostenute dall’amministrazione americana, sia democratica che repubblicana.