SAN BENEDETTO DEL TRONTO – Si sono conclusi ieri, Domenica 11 Agosto 2024, con la Celebrazione Eucaristica delle ore 21:15 presso il Monastero Santa Speranza in San Benedetto del Tronto, i festeggiamenti in onore di Santa Chiara. La Messa, presieduta dall’arcivescovo Gianpiero Palmieri, è stata concelebrata dal vescovo emerito Basile Tapsoba, dal vicario generale don Patrizio Spina, da alcuni sacerdoti e diaconi provenienti dalle due Diocesi del Piceno, dalle sorelle Clarisse (Suor Graziana, Suor Riccarda, Suor Patrizia, Suor Massimiliana e Suor Sara) e dal numeroso popolo di Dio accorso per l’occasione.

Durante l’omelia, il vescovo Gianpiero ha parlato della kénōsis (n.d.r. chenosi), ovvero dello svuotamento, dell’abbassamento compiuto da Dio nell’atto della sua incarnazione, per avvicinarsi all’uomo e poterlo amare fino in fondo, sottolineando come Dio sia disceso fino a raggiungere l’uomo non solo in senso fisico, ma anche dal punto di vista interiore, nei suoi aspetti più bassi, più fragili, più bui, senza però cadere nel peccato: “La Parola di Dio della festa di Santa Chiara ci permette di entrare sempre di più nel mistero della povertà e della piccolezza. Prima di tutto della povertà e piccolezza di Dio; poi a quella povertà e a quella piccolezza a cui anche noi siamo chiamati e che Chiara e Francesco hanno scoperto. Per far spazio a qualcosa di diverso da noi, dobbiamo per forza ritrarci. Anche Dio, che è tutto, che riempie tutto lo spazio, che è la pienezza di essere, la pienezza di vita, per creare il mondo e soprattutto per creare l’uomo, si deve ritrarre. Dio compie questo atto nuovo di creare il mondo, provando probabilmente, per la prima volta nella storia di Dio, la trepidazione. Egli si sarà chiesto infatti: ‘Che cosa risponderà la mia creatura? Che cosa farà la mia creatura?’. Questo  farsi piccolo di Dio è un grande segno del suo amore. Proprio perché ama – e ama sul serio -, Dio prende sul serio le sue creature e il suo amore fa i conti con la libertà dell’uomo. Ma dalla povertà e dalla piccolezza di Dio, è venuta fuori una grande ricchezza per ciascuno di noi: noi infatti non avremmo potuto conoscere in pienezza l’amore di Dio, se non attraverso la povertà e la piccolezza di Gesù. Il Verbo, fatto realmente uomo, che ha sperimentato tutta la gamma dell’umano eccetto il peccato, è il segno del grande amore di Dio che vuole sperimentare la povertà e la piccolezza rispetto al suo essere nella natura di Dio. Dio è nella chenosi del Figlio di Dio, nel suo svuotarsi, nel suo spogliarsi, nel suo diventare povero per amore. È davvero grande l’amore di Dio, se giunge ad abbassarsi a tal punto fino a mettersi davanti all’uomo, al suo stesso livello, ad un livello in cui è possibile l’amore, perché  l’amore è possibile soltanto nel gioco reale di due libertà.  Dio accetta di stare a questo gioco perché possa effondere l’amore su tutte le creature”.

Palmieri ha poi proseguito: “Nella vita di tutti i Santi, in particolare in quella di Chiara e di Francesco, c’è un’intuizione profonda di questo mistero, di cui parla anche San Paolo nella Seconda Lettura che abbiamo ascoltato, tratta dalla sua Seconda Lettera ai Corinzi. Egli ci dice che, se io mi faccio piccolo e povero, allora c’è tanto spazio per Dio; se invece sono troppo pieno del mio io, di spazio per Dio ce n’è davvero poco. Paolo sottolinea questo aspetto con queste parole: ‘E Dio, che disse: «Rifulga la luce dalle tenebre», rifulse nei nostri cuori, per far risplendere la conoscenza della gloria di Dio sul volto di Cristo. Noi, però, abbiamo questo tesoro in vasi di creta, affinché appaia che questa straordinaria potenza appartiene a Dio e non viene da noi’ (2Cor 4, 6-7). Bellissima questa immagine dei vasi di creta: realtà fragili, piccole, povere, però qui si manifesta la potenza di Dio. Siamo tribolati, ma non schiacciati. Siamo sconvolti, ma non disperati. Perseguitati, ma mai abbandonati da Dio. Colpiti, ma mai uccisi. Portando sempre e dovunque nel nostro corpo la morte di Cristo, perché anche la vita di Gesù si manifesti nel nostro corpo. Nella mia grande fragilità, nella mia piccolezza, nella mia radicale indigenza di peccatore, si manifesta la grandezza dell’amore di Dio. Questo mistero, una volta che proviamo a viverlo, ci dà una grande pace, perché smettiamo di essere troppo preoccupati di noi stessi, di che figura facciamo, del fatto che le nostre prestazioni siano all’altezza e di tutte queste altre stupidaggini che ci diciamo continuamente!”.

Durante il suo commento alla Parola, mons. Gianpiero ha parlato anche di un altro aspetto, “di una fragilità – ha detto – che nasce dalla nostra storia umana, quella del nostro corpo esteriore che si va disfacendo. Di ammalarci ed invecchiare oggi proprio non vogliamo saperne! Mai nessuno che parli della bellezza di invecchiare! Tutti quanti facciamo un’enorme fatica; ma, se il Signore ha voluto così la vita umana, un motivo ci sarà. ed infatti c’è. Cosa significa che noi invecchiamo? Che ci ammaliamo? Significa che la vita quaggiù è un dono che dura degli anni, ma non è eterna. Noi sperimentiamo il corpo che si indebolisce, la vista e l’udito che si abbassano, ma sperimentiamo anche che l’uomo interiore si rinnova di giorno in giorno, come è scritto nel libro del Qoelet. Man mano che vive tutte le esperienze della vita, l’uomo conquista una grande ricchezza. È bello avvicinarsi ad un anziano che ha sperimentato questa grande ricchezza e lo riconosciamo subito, perché è una persona saggia, sapiente di una sapienza evangelica, che sa relativizzare le cose e metterle nel giusto posto, che ha conosciuto l’opera di Dio e quindi non dispera mai. Anche questa è una legge della povertà e della piccolezza: nella mia fragilità legata al tempo che passa, non solo risplende la grandezza di Dio, ma posso anche sperimentare che il mio mondo interiore si arricchisce enormemente. È la Grazia di Dio che con il tempo trasforma tutto il mio mondo interiore”.

Chiara e Francesco – ha concluso il vescovo Palmierici hanno insegnato la via della piccolezza evangelica. Hanno vissuto il desiderio radicale di unirsi a Gesù, in modo tale da assomigliarGli. Hanno preso sul serio questa somiglianza che lo Spirito del Risorto voleva realizzare dentro di loro e, siccome il Figlio di Dio è il segno più bello della povertà di Dio, hanno seguito il Signore in questa via della piccolezza e della povertà. E proprio nel momento in cui il mondo li denigra, risplende la loro grandezza. Pensate a quanto sia forte Chiara! Va contro la sua famiglia, va contro tutti, si taglia i capelli e  si aggrappa alla tovaglia dell’altare: ‘Sono del Signore e basta!’ E, quando scrive la Regola, prima di morire, dice: ‘Ti ringrazio, Signore, perché mi hai dato la vita, perché mi hai creata’. Chiara possiede la consapevolezza di essere soltanto creatura, la consapevolezza che la sua vita e la storia della Chiesa  sono guidate dal Signore. Ecco dunque lo splendore del Vangelo che è stato scelto per la festa di Chiara (Gv 15,4-10)! È proprio qui il segreto della grandezza che si rivela nella piccolezza. Tu sei un tralcio nella vite: il tralcio scompare, perché appaia la vite, la linfa che scorre nella vite. ‘Senza di me non potete fare nulla!’. Come il Figlio senza il Padre non può nulla, così anche l’uomo senza la grandezza di Dio non può nulla. Ma la straordinaria grandezza della Grazia si manifesta quando l’uomo si lascia rinnovare il cuore da Dio e diventa piccolissimo nella misura di Dio. Questa logica è completamente contro corrente da quella del mondo. Chiediamo perciò al Signore di aiutarci a vivere in questo modo. Lo chiediamo per noi, per la piccola comunità delle Clarisse – che sono un bel segno sul territorio – e per le nostre comunità, affinché non siano comunità efficienti ma comunità innamorate, piccole ma che fanno tanto spazio all’amore di Dio”.

Prima della benedizione finale, l’abbadessa delle Sorelle Clarisse, ha effettuato alcuni ringraziamenti: oltre al vescovo Gianpiero, ai sacerdoti e diaconi presenti e ai fedeli intervenuti, Suor Graziana Latella ha espresso la sua gratitudine in particolare alla Corale di Santa Felicita di Colli del Tronto diretta dalla M° Rosella Travaglini, ai giovani musicisti di zona diretti dalla M° Serena Zeppilli e ai parrocchiani delle comunità Madonna del Suffragio e Sant’Antonio di Padova, che hanno contribuito a sistemare le luci e l’impianto di amplificazione.

La serata si è conclusa in un clima di cordialità, gioia e profonda spiritualità. Al termine della celebrazione, infatti, le Sorelle Clarisse hanno distribuito un piccolo dono ai presenti, segno della loro preghiera di affidamento a Santa Chiara di tutte le intenzioni che i fedeli di volta in volta raccomandano loro. Molto suggestivo anche il gesto finale richiesto ai convenuti: le Clarisse hanno invitato i presenti a scrivere un bigliettino in cui affidare, nel segreto, una preghiera a Santa Chiara.

 

 






 

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