Di Marco Testi
Per capire fino in fondo l’importanza di questo “La voce leggera delle pagine. Intrecci di letteratura e spiritualità” (Àncora, 270 pagine, 22 euro) di Paolo Alliata, sarebbe bene iniziare dal capitolo dedicato a Oscar Wilde. Perché meglio si comprende il messaggio di uno scrittore, saggista e sacerdote che ha dedicato molti suoi libri alla ricerca dei sentieri nascosti che attraversano i libri, la fede, l’arte.
Soprattutto quando Alliata si rivolge coraggiosamente a quelle esperienze che sembrano essere andate in tutt’altra direzione. Come quella di un grande scrittore che in un’epoca, fine Ottocento, e in un paese, l’Inghilterra, in cui l’omosessualità era condannata e perseguita, osò rendere pubblico il suo rapporto con l’amato Bosie, al secolo lord Alfred Douglas. “De profundis”, di cui si parla qui, la lunga lettera-confessione di Oscar Wilde pubblicata postuma, è in effetti il simbolo di tutto quel controverso cammino, fatto di aspettative, di speranze, illusioni, carnalità e spiritualità, che rimanda a molto altro. Ad esempio al culto della bellezza fine a se stessa, con quella asettica, tremenda rivelazione di “quando non sei sul tuo piedistallo non sei interessante. La prossima volta che ti ammali me ne andrò via subito” che fa inorridire lo scrittore, e che invece non dovrebbe coglierlo impreparato. Perché il bello per il bello non dà frutti, diviene un circolo infelice fatto di soddisfazione momentanea e poi noia, depressione. Un vero circolo infelice.
Alliata ricorda un racconto wildiano di quasi dieci anni prima, “Il Principe felice” che ancora oggi parla ai cuori, alle menti e alle azioni umane. Il principe si accorge solo dopo la morte della miseria che circonda il suo palazzo e chiede ad una rondine di spogliare la propria statua dei materiali preziosi di cui è ornata per portarli ai poveri. Cosa che la rondine fa, senza però apparentemente riparare l’insensatezza delle umane cose: la statua ormai senza più valore è divenuta un imbarazzo per la città e viene fusa, la rondine muore di freddo e viene gettata tra i rifiuti insieme al cuore di piombo della statua, che è stato impossibile fondere. Insensatezza apparente, abbiamo detto, perché l’angelo del Signore verrà a portare in cielo cuore e rondine, come uniche cose preziose trovate nel suo viaggio sulla terra.
Perché questo capitolo è importante? Perché fa intendere che c’è un legame profondo tra bellezza vera e senso dell’esistenza. L’angelo rappresenta quel senso, con la sua appartenenza al mondo della vera bellezza. Alliata ci sta dicendo che quel senso e quella bellezza sono tra noi, a patto di saperne cogliere i bagliori nascosti nella materia.
E l’autore giustamente cita (interessanti anche le pagine su “ Il Gattopardo” di Tomasi di Lampedusa e “Cuore di tenebra” di Conrad) le “Memorie di Adriano” di Marguerite Yourcenar, ricordo della grandezza di un imperatore anche lui trascinato dalla bellezza del giovane Antinoo in un rapporto che la corte imperiale non poteva ammettere. Anche qui la ricerca dell’assoluto unicamente nella bellezza lascia inevitabilmente il posto alla malinconia e alla solitudine. E non è un caso che l’Adriano del romanzo mostra di non capire i cristiani che si lasciano torturare e uccidere, non per un amore o per un terreno tesoro, ma per un Dio le cui ricchezze non sono in questo mondo.
Anche nel caso de “Il deserto dei Tartari” di Buzzati l’attesa diviene pian piano l’essenza stessa della vita: non il soddisfacimento materiale che lascia tutto come era. È il mistero che bussa alla porta senza che ce ne accorgiamo il centro del nuovo sguardo.
Impariamo a scorgerlo dietro i segnali del presente, ci dice Alliata in questo libro.
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