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Sanità: il decreto c’è, ma i soldi mancano

Di Nicola Salvagnin

A volte si ha il sospetto che chi legifera, non conosca bene la materia di cui si occupa, i veri problemi da affrontare. Ottimisticamente, si può invece considerare che i veri problemi li conosca; ma le risorse per affrontarli…

Ecco, sono i due pensieri prevalenti che emergono prepotenti nella lettura del cosiddetto decreto governativo che intende abbattere – o comunque ridurre – le liste di attesa per prestazioni mediche ospedaliere e/o esami strumentali. Quasi sempre e in qualsiasi struttura ospedaliera di un certo livello i tempi di attesa per una visita specialistica superano il paio di mesi di attesa; la realtà racconta però di situazioni ben peggiori. Quindi o si attende (non il massimo nelle questioni di salute) o ci si rivolge alla sanità privata, insomma si paga di tasca propria.

E cosa prevede questo novello decreto?

Che si facciano esami e visite pure nei fine settimana, o dopo il classico orario di lavoro: misura vuota, è già prevista in alcune Regioni ma letteralmente non ci sono medici che si prestano a questo ulteriore carico di lavoro. Assumerne altri? E con che soldi, se anche ce ne fossero di disoccupati in giro?

Allora si prevede che gli straordinari dei medici siano detassati, solo il 15% d’imposta invece che l’ordinario 43. Buio come prima: manca il personale (anche infermieristico) e non è questa una caramella particolarmente attraente per saltare il riposo settimanale o per finire di lavorare alle 22.

Allora si prevede che, se la sanità pubblica non ce la fa a garantire una visita o un esame nei tempi previsti, ci si possa rivolgere al privato convenzionato, che poi verrà rimborsato. A parte il fatto che le strutture private non è che siano vuote di lavoro quotidiano e non abbiano anche loro tempi d’attesa (si pensi a certi macchinari per visite strumentali), ma si torna alla casella iniziale: con quali soldi?

Il governo dice alle Regioni: ve ne abbiamo dati (500 milioni di euro), spendete quelli. Soldi in realtà già spesi in buona parte, nessuna risorsa aggiuntiva. Unica novità secondo noi rilevante: chi non disdice la prestazione prenotata almeno due giorni prima della stessa, pagherà il ticket. Si libererà qualche posto e la sanità incamererà qualche euro in più.

Morale della favola? Cambierà poco o niente, salvo il fatto di dire: noi ci abbiamo pensato, ecco il decreto. Quando invece si vorrà affrontare la questione sanitaria seriamente, si dovranno valutare con attenzione un paio di cose: i colossali carichi di lavoro che hanno alcune specialità, con la difficoltà sia di reperire nuovi medici specialisti che di assumerli; la valutazione dei carichi di lavoro in altri reparti, laddove la produttività è auto-decisa, auto-valutata, auto-promossa…

Perché nella sanità pubblica c’è chi lavora fino allo sfinimento fisico – e sono i più; e chi (parliamo di personale medico, infermieristico, amministrativo) guarda con serenità i primi sfinirsi. E nessuno muove un dito. Ieri, oggi e – si teme – pure domani.

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