PODCAST – Per la rubrica di podcast “Il Punto”, curata dalla giornalista Carletta Di Blasio, oggi è on line il nuovo podcast.
Ascolta qui il podcast:
PROVINCIA – I bollenti raggi del sole ancora illuminano queste ultime giornate d’estate. Eppure, in questo caldo fine settimana estivo, all’improvviso sul Piceno il cielo si è fatto buio ed abbiamo tutti sentito freddo al cuore, dopo aver letto due notizie agghiaccianti.
Ad Acquasanta Terme un bambino di 4 anni è morto nel garage di casa, schiacciato da un contenitore di metallo.
A Pagliare del Tronto, frazione di Spinetoli, un altro bambino, stavolta di 3 anni, è morto dopo essere caduto in un canale di irrigazione.
La morte sorprende sempre – intendiamoci – ma, quando avviene a questa età e in queste circostanze, è veramente incomprensibile!
Ho letto sui social i commenti di molte persone che cercano spiegazioni, responsabilità e ragioni, laddove, purtroppo, non ce ne sono. Io capisco queste persone, perché anch’io, quando a 17 anni persi mia madre, per lungo tempo mi ostinai a cercare ragioni e a chiedermi perché. Domande che non hanno mai trovato risposte. Ma, sebbene io abbia provato questo dolore così grande, tuttavia non oso neanche immaginare cosa possano provare un padre e una madre in questi momenti. La morte di un genitore, infatti, per quanto prematura, è comunque accettabile, perché si sa che prima o poi un figlio dovrà perderlo. Ma la morte di un figlio no! Nessun uomo, nessuna donna, pensa di poter perdere il proprio figlio. È un dolore innaturale. Nel senso che la natura non lo prevederebbe!
La morte di un figlio è ingiusta, inspiegabile. Anche per noi cristiani. E non dobbiamo sorprenderci del fatto che la nostra fede vacilli in certi momenti, che magari ci venga voglia di prendercela con Dio, perché ci sentiamo abbandonati da Lui . È una sensazione molto umana e comprensibile, che anche Gesù, vero Uomo, ha provato. Sulla croce, infatti, anche Cristo urla il suo dolore, rivolgendosi al Padre e chiedendogli: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” (cfr Mt 27,46; Mc 15,34).
Ma proprio pensando alla croce – forse – troviamo una risposta al nostro dolore. E non solo in Gesù – nella sua Resurrezione -, bensì in Maria, sua madre, che sotto la croce vive ogni ingiustizia, ogni tormento, ogni dolore del Figlio. Chi è madre, sa che la sofferenza di un figlio è peggiore della propria. Pensiamo allora al dolore di questa madre, che silenziosamente accompagna il Figlio nel suo ultimo momento. Riusciamo ad immaginarlo?!
Io no. Ma un grande artista come Michelangelo Buonarroti, ci è riuscito. Proprio ieri ricorreva un anniversario speciale: il 26 Agosto del 1498, infatti, venne firmato il contratto con cui gli fu commissionata la Pietà, la scultura della Vergine Maria con Cristo morto tra le sue braccia, uno dei capolavori maggiori non solo del Rinascimento, ma dell’intera storia dell’arte.
“Una scultura di sovrumana bellezza e perfezione“, come hanno detto i critici d’arte nei vari secoli, non solo per la resa plastica delle forme corporee, per la morbidezza delle linee, ma anche per il soggetto rappresentato: la Madonna che tiene sulle ginocchia il figlio appena deposto dalla croce. Una scena che non è presente nel racconto evangelico della Passione. Una scena carica di umanità. Una madre, che nella scultura è una sola cosa con il figlio, unita totalmente a lui nel sacrificio più grande, tiene in braccio il corpo di suo figlio, come fosse un bambino, come se lo stesse cullando, e lo mostra al mondo. È bellissima la resa di Maria! Guardiamo le sue mani: mentre stringe la destra, afferrando e reggendo il corpo di Gesù e quindi caricandosi del peso del figlio e del suo dolore, fa l’opposto con l’altra mano, apre completamente la sinistra, in un gesto di piena accettazione, di completo affidamento a Dio, come a dire “Signore, se questa è la Tua volontà, così sia!“. Non a caso Maria ha il volto sereno, così come lo è anche quello di Gesù, nonostante i segni della crocifissione.
Da questo freddo marmo, scolpito da Michelangelo, possiamo allora ricevere un calore inaspettato: il dolore composto di Maria e il suo volto attonito, rassegnato, ma al contempo sereno, ci dicono che la morte non ha l’ultima parola e che la croce non è il momento definitivo, ma solo un passaggio.
Coraggio, allora! Se ce l’ha fatta Maria, possiamo farcela anche noi.
Uniamoci dunque al dolore di queste due famiglie, pregando ed affidando al Signore le nostre vite e soprattutto quelle dei familiari di questi due bambini.