Sono quattro le “caratteristiche essenziali della vita ecclesiale: l’ascolto dell’insegnamento degli apostoli; la custodia della comunione reciproca; la frazione del pane e la preghiera”. “L’evangelista Luca – ha sottolineato – ci mostra la Chiesa di Gerusalemme come il paradigma di ogni comunità cristiana, come l’icona di una fraternità che affascina e che non va mitizzata ma nemmeno minimizzata. Il racconto degli Atti ci permette di guardare tra le mura della domus dove i primi cristiani si raccolgono come famiglia di Dio, spazio della koinonia, cioè della comunione d’amore tra fratelli e sorelle in Cristo. Si può vedere che essi vivono in un modo ben preciso: sono ‘perseveranti nell’insegnamento degli apostoli e nella comunione, nello spezzare il pane e nelle preghiere’ (At 2,42)”. I cristiani “ascoltano assiduamente la didaché cioè l’insegnamento apostolico; praticano un’alta qualità di rapporti interpersonali anche attraverso la comunione dei beni spirituali e materiali; fanno memoria del Signore attraverso la ‘frazione del pane’, cioè l’Eucaristia, e dialogano con Dio nella preghiera. Sono questi gli atteggiamenti del cristiano, le quattro tracce di un buon cristiano”. Mons. Maniago ha evidenziato: “Quando i primi cristiani iniziarono a vivere il loro culto, lo fecero attualizzando i gesti e le parole di Gesù, con la luce e la forza dello Spirito Santo, affinché la loro vita, raggiunta da quella grazia, diventasse sacrificio spirituale offerto a Dio. Questo approccio fu una vera ‘rivoluzione’”. E ha aggiunto: “La vita è chiamata a diventare culto a Dio, ma questo non può avvenire senza la preghiera, specialmente la preghiera liturgica”. Papa Francesco ci ricorda che “si è più volte registrata, nella storia della Chiesa, la tentazione di praticare un cristianesimo intimistico, che non riconosce ai riti liturgici pubblici la loro importanza spirituale. Spesso questa tendenza rivendicava la presunta maggiore purezza di una religiosità che non dipendesse dalle cerimonie esteriori, ritenute un peso inutile o dannoso. Al centro delle critiche finiva non una particolare forma rituale, o un determinato modo di celebrare, ma la liturgia stessa, la forma liturgica di pregare”.
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