Daniele Rocchi
Sciopero generale e giornata di lutto ieri nel Governatorato di Betlemme, indetto dal locale organo di coordinamento tra le differenti fazioni palestinesi, dopo che lo scorso 26 agosto gruppi di coloni israeliani armati hanno attaccato il villaggio di Wadi Rahal, nei pressi di Betlemme, uccidendo il trentasettenne Khalil Salem Khlawi e ferendo altre 5 persone. Scuole, negozi e attività chiuse nella città natale di Gesù, eccetto gli ospedali che hanno continuato a prestare assistenza.
Tensione a Betlemme. “La situazione è molto tesa – riferisce al Sir una fonte religiosa betlemita –. Dopo quanto accaduto, la gente qui ha paura di uscire di casa perché non si sente al sicuro. In questi giorni riapriranno le scuole e non sappiamo cosa potrebbe accadere. Difficile vedere gente in giro per le strade di Betlemme, dove è impossibile entrare e uscire dai check point dei militari israeliani”. “I bisogni materiali della popolazione aumentano di giorno in giorno – continua la fonte – e la parrocchia per questo ha organizzato un centro di ascolto per venire incontro alle difficoltà dei più vulnerabili. Purtroppo, è difficile dare risposte concrete a tutti.
Quelli che prima del 7 ottobre erano dei nostri benefattori oggi vengono a chiedere aiuto.
Ma la provvidenza non ci fa mancare niente e in qualche modo riusciamo sempre a dare qualche sostegno”. Proprio ieri il Patriarcato latino di Gerusalemme ha diffuso un video messaggio del patriarca, card. Pierbattista Pizzaballa, che dava conto del sostegno offerto ai fedeli cristiani, e non, dallo scoppio della guerra il 7 ottobre 2023.
Su quanto accaduto ieri in Cisgiordania è intervenuto l’Ufficio dell’Alto Commissario per i Diritti Umani (Ohchr-Human Rights in Occupied Palestinian Territory). In una nota resa nota oggi l’Ohchr afferma che “dal 7 ottobre e fino al 27 agosto, 628 palestinesi sono stati uccisi in Cisgiordania e Gerusalemme Est in seguito alle violenze dei coloni e dell’esercito israeliano in tutta la Cisgiordania”. La nota dell’Onchr specifica anche che “609 sono stati uccisi dalle forze dell’Ifs, 11 da coloni e altri otto da attacchi congiunti. Di questi poi 159, tra cui 29 ragazzi e 3 donne, sono morti in seguito ad attacchi aerei”.
L’esercito israeliano dal canto suo ha fatto sapere di aver condotto nella zona una vasta “operazione antiterrorismo”, malgrado ciò l’organismo delle Nazioni Unite “condanna la risposta sempre più militare delle Forze di sicurezza israeliane, Isf, e denuncia modalità che violano il diritto internazionale che rischiano di infiammare ulteriormente una situazione già esplosiva”.
La nota aggiunge inoltre che “dal 7 ottobre 2023, 259 famiglie palestinesi composte da 1.547 persone, tra cui 753 bambini, sono state sfollate con la forza nel contesto di tali incidenti correlati ai coloni israeliani”.
Secondo l’Onchr, la violenza tra le Isf e i palestinesi armati in Cisgiordania, “non costituisce un conflitto armato ai sensi del diritto internazionale umanitario e, in quanto tale, l’uso della forza in Cisgiordania deve rispettare le norme e gli standard sui diritti umani applicabili alle forze dell’Ordine. L’uso da parte delle Isf di attacchi aerei e di altre armi e tattiche militari viola tali standard e sta provocando esecuzioni extragiudiziali e altre uccisioni illegali e la distruzione di case e infrastrutture palestinesi”.
Non un fatto isolato. La nota dell’Onchr sottolinea che morte di Khlawi “non è un incidente isolato ma una conseguenza diretta della politica di insediamento di Israele nella Cisgiordania occupata, in violazione del diritto internazionale, accompagnata dalla complicità dell’Isf e dal clima prevalente di impunità”. Inoltre, ribadisce che continuerà a “documentare quotidianamente attacchi fisici e molestie da parte dei coloni ai danni dei palestinesi”, tra i quali, denuncia la nota, incursioni di “coloni che aggrediscono fisicamente i palestinesi, incendiando o danneggiando le loro proprietà e i loro raccolti, rubando pecore, impedendogli di accedere alle loro terre, all’acqua e alle aree di pascolo e costringendoli ad abbandonare le loro case e terre”.
Gli attacchi dei coloni israeliani sono un fenomeno che l’organismo internazionale segnala da anni ma che dal 7 ottobre 2023 “è drammaticamente aumentato, poiché – si legge ancora nella dichiarazione – il movimento dei coloni, ha colto l’opportunità per intensificare gli attacchi contro i palestinesi, costringendoli a lasciare le loro terre ed espandere gli insediamenti e il controllo di Israele sulla Cisgiordania”. Situazione analoga si verifica a Gerusalemme Est dove, denuncia ancora l’Ohchr, “le autorità israeliane continuano ad applicare leggi e politiche discriminatorie come le ‘zoning laws’ (‘zonizzazioni’, che suddividono il territorio in aree con diverse attribuzioni e vincoli, ndr.) per demolire le case palestinesi, in violazione del diritto internazionale”. In virtù di queste norme migliaia di palestinesi “sono a rischio di sfratto forzato” soprattutto a Silwan, quartiere che si trova ai piedi della Città vecchia, vicino alla moschea di Al-Aqsa e al Muro del Pianto, tra i più popolati di Gerusalemme Est.
Appello a Israele. Una situazione quella in Cisgiordania e Gerusalemme Est che desta una crescente preoccupazione da parte dell’Ufficio per i diritti umani delle Nazioni Unite e che, conclude il comunicato, “potrebbe peggiorare drasticamente se le Isf continuano a usare sistematicamente forza letale illegale e ignorare la violenza perpetrata dai coloni”. Da qui “l’invito a Israele a rispettare i propri obblighi ai sensi del diritto internazionale per porre fine al progetto di insediamento illegale, ripristinare l’ordine e proteggere i palestinesi, anche attraverso l’evacuazione di tutti i coloni come richiesto dalla Corte internazionale di giustizia”. Preoccupazione viene espressa anche dagli Usa che hanno annunciato nuove sanzioni contro coloni israeliani in Cisgiordania per la violenza contro i palestinesi. “La violenza estremista dei coloni in Cisgiordania – ha affermato oggi il portavoce del dipartimento di Stato Matthew Miller – causa intense sofferenze umane, danneggia la sicurezza di Israele e mina le prospettive di pace e stabilità nella regione per questo è fondamentale per Israele chiedere conto della loro responsabilità”.