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Il Liceo Scientifico saluta e ringrazia la dirigente Stefania Marini: “I giovani hanno bisogno di sognare e di sentire che valgono”

SAN BENEDETTO DEL TRONTO – Dopo 42 anni di lavoro, di cui otto come docente e ben trentaquattro come dirigente, la prof.ssa Stefania Marini, da un decennio preside del Liceo Scientifico “Benedetto Rosetti” di San Benedetto del Tronto, da ieri, 1 Settembre 2024, è in pensione.
L’abbiamo incontrata per farci raccontare non solo la sua lunga e fruttuosa carriera, ma anche come sia cambiato negli anni il mondo della Scuola e cosa si aspetta dal futuro.

Quando e come ha deciso che studi intraprendere e che professione svolgere?
Tutti i docenti della Scuola Media indicarono, nel consiglio orientativo, gli studi liceali; ma il mio carattere pragmatico mi portò verso altri percorsi di studio. Mi informai sugli sbocchi professionali delle Scuole Superiori e scelsi, in modo convinto, l’Istituto Magistrale. Mi piacque da subito per la possibilità che mi offriva di poter partecipare ai concorsi al temine del quadriennio e accedere così all’insegnamento, che a quel tempo non richiedeva la laurea. Il desiderio di trovare subito un’occupazione, non mi impedì, comunque, di continuare a coltivare la passione per lo studio. Fare un percorso universitario restava un obiettivo prioritario.

Prima di raccontarci la sua esperienza universitaria, ci vuole dire come ha vissuto l’esame di maturità?
Il mio esame di maturità è stato un po’ diverso da quello attuale. Intanto, per il periodo: iniziava infatti il 1° Luglio e terminava alla fine del mese; ricordo di aver sostenuto l’orale il 27 Luglio 1982. Nel mio anno, come seconda prova scritta, affrontammo la versione di latino.
Purtroppo, associo il ricordo del primo giorno degli scritti ad un momento difficile vissuto dalla mia famiglia, perché, mentre io ero a scuola impegnata nello svolgimento della prima prova, mio fratello subiva un importante ed urgente intervento all’ospedale di Teramo. I miei genitori chiesero, allora, a una mia cugina di accompagnarmi, ben consapevoli dell’importanza dell’esame di maturità nella vita di una adolescente. Ricordo il viaggio da San Benedetto a Ripatransone con la FIAT 128 bianca di mia madre, con la mente presa da tanti pensieri e, comunque, con il battito del cuore accelerato per il mio esame, e non solo. Il risultato mi ripagò delle tante preoccupazioni e rese felici i miei genitori.

Che percorso di studi universitari ha poi scelto?
Completate le Scuole Superiori, mi sono iscritta alla Facoltà di Magistero, frequentando il corso di laurea in Pedagogia, una dimensione che ho sempre sentito a me vicina. Dopo qualche anno d’insegnamento nelle Scuole Elementari, la mia naturale indole mi ha portato a cercare nuove sfide. Ho valutato le diverse possibilità offerte nel mondo della Scuola e nel 1990 ho partecipato al concorso nazionale per Direttore Didattico, che ho superato a soli 27 anni, prendendo servizio, come prima sede, a Settembre 1991, nel Circolo Didattico di Castelraimondo. Con questo incarico è iniziato il percorso lavorativo che porto a compimento in questi giorni: un appassionante viaggio umano e professionale, che mi ha segnata profondamente.

Prima di diventare dirigente del Liceo Scientifico Rosetti in quali altri Istituti ha svolto la sua professione?
La mia è stata una lunga carriera. Da Dirigente, dopo il primo incarico a Castelraimondo (MC) dove ho scelto di rimanere per due anni, poi sono rientrata nella provincia di Ascoli Piceno, precisamente a Ripatransone, dove sono rimasta cinque anni, per poi trasferirmi a Centobuchi per altri cinque anni. Nel 2003, finalmente, ho preso servizio nella mia amata San Benedetto e per 11 anni il III Circolo Didattico, poi diventato ISC Centro con l’acquisizione della Scuola Media Curzi, è stato la mia “seconda casa”.
A Settembre del 2014 sono stata assegnata al Liceo Scientifico Rosetti.
Se i conti tornano chiudo il mio percorso lavorativo nella scuola con 42 anni di servizio: non pochi, ma nella mia percezione sembrano molti di più, per la ricchezza delle esperienze che mi hanno donato.

Come valuta questa esperienza al Liceo Rosetti?
Sicuramente posso definirla l’esperienza professionale della maturità. Una grande occasione di crescita personale e professionale. In questi anni ho studiato molto per garantire una gestione responsabile, consapevole e in linea con le innovazioni che hanno interessato il mondo della Scuola. Ogni cambiamento, anche se scelto e voluto, comporta sempre uno stress; ma sappiamo bene che lo stress reattivo mette in campo anche energie positive e per me la gestione del Liceo è stata una sfida di crescita professionale. Non va, inoltre, sottovalutata la ricchezza in termini di relazioni: uno scambio e un confronto importante con i docenti, con il personale ATA, con le famiglie e, soprattutto, con i ragazzi che più si conoscono e si scoprono, più si apprezzano e si amano.

Quale è stato il momento più difficile del suo percorso professionale?
Sicuramente la gestione della Scuola durante la pandemia da Covid. Una grande preoccupazione quotidiana sia per la situazione sanitaria generale sia per l’organizzazione delle varie fasi: dalla chiusura totale a quella parziale fino alla riapertura, con tutte le misure di contenimento. Ricordo giornate intere al PC e collegamenti h 24 con i miei collaboratori per garantire una tempestiva e costante comunicazione alle famiglie ed un’efficace organizzazione, anche didattica, a tutela del diritto allo studio degli studenti.

Come la pandemia ha cambiato gli attori del mondo della Scuola? Cosa tornerà come prima e cosa invece il Covid ci ha lasciato in eredità?
La Scuola, quale terminale su cui convergono tensioni e dinamiche che hanno origini complesse, ha vissuto pienamente le conseguenze del Covid che ha coinvolto tutti.
Nel corso della pandemia, la Scuola ha dovuto necessariamente, come prescritto, mettere le distanze nelle relazioni e questo non ha giovato a nessuno. La paura ha generato diffidenza e si è persa completamente anche la comunicazione non verbale, che tanto aiuta in un rapporto studente-docente. La DAD ha ridotto l’isolamento, ma ha impoverito il percorso di apprendimento. Restano tanti vuoti da colmare, sia in termini di conoscenze sia nella dimensione emotivo-relazionale. Negli ultimi anni abbiamo registrato una crescita esponenziale di sindromi ansiose e depressive nei ragazzi. Personalmente, ritengo che il Covid abbia modificato ciascuno di noi. La mente rimuove, come meccanismo di difesa, la sofferenza e, grazie a questo, tutti abbiamo contribuito a costruire un dopo Covid.
Il Liceo, ad esempio, dopo il Covid, ha aumentato le occasioni di incontro tra i ragazzi nel pomeriggio e, con nostra grande sorpresa, le attività proposte sono state molto frequentate, perché i ragazzi hanno bisogno di stare insieme, di relazionarsi in modo collaborativo, senza l’ansia da prestazione che la Scuola, purtroppo, – anche involontariamente – alimenta. Il Covid ci ha insegnato a ricercare l’altro, a dare valore ai gesti, alle persone, al tempo. Ogni tanto, dovremmo fare mente locale e fermarci per rivolgere verso l’Altro il nostro sguardo.

Da dirigente ha sempre rivolto grande attenzione alle persone, che si trattasse di docenti, discenti o personale Ata o amministrativo. Quali iniziative ha messo in atto e perché?
Una Scuola poco attenta alle persone non è una Scuola, è qualcosa di diverso che non saprei definire. Ho cercato di proporre sempre iniziative che favorissero la relazione, l’incontro. Con il personale incontri di briefing periodico, disponibilità all’ascolto e iniziative anche ricreative per conoscersi.
Per i ragazzi abbiamo istituito diversi club pomeridiani, su libera adesione, per interesse, eterogenei nella composizione, sia per classi di provenienza, sia per annualità. I ragazzi vivono la Scuola aperta e si frequentano anche durante la sospensione delle attività; altresì, vivono il rapporto con il docente referente dei vari club, in modo originale e molto empatico.

In questi anni, con gli studenti del Liceo Rosetti ha più volte organizzato raccolte di beni alimentari per la Caritas ed ho anche avuto occasione di notarla spesso nella sede della Caritas Diocesana a dare una mano. Qual è il suo rapporto con la fede?
Mi ritengo una persona che vive la fede in modo intimo, nel quotidiano, non sempre in modo confessionale, ma con la certezza di essere sostenuta sempre e comunque dalla fede.
Sensibilizzare gli studenti al bene comune, alla solidarietà e al rispetto delle diversità aiuta a formare giovani più attenti all’altro. Il rischio di alimentare l’autoreferenzialità e l’onnipotenza nei giovani è alto e certi comportamenti devianti ne sono l’esempio. Se non si affrontano certi temi e non si promuovono occasioni di confronto tra i giovani aumenta la solitudine e la diffidenza. La scuola può fare molto in questa dimensione.
Personalmente inserirei tra le azioni obbligatorie di orientamento a favore degli studenti anche la conoscenza di certe realtà sociali per il recupero delle fragilità e per l’integrazione, al fine di ridurre il rischio di comportamenti di gruppo che possono sfociare in violenza gratuita fisica e anche da social.

Quale è stata la sua più grande vittoria in questi lunghi anni?
La mia più grande vittoria è stata veder realizzato un obiettivo di contesto, legato ad una sensazione poco piacevole che provavo quando entravo al Liceo come genitore: tutto bene, ma mancava qualcosa … difficile da spiegare! Il mio obiettivo era realizzare una Scuola ben organizzata, ma accogliente; rigorosa, ma dialogante; calda nella relazione e ricca nell’offerta formativa. Desideravo entrare a scuola ogni mattina e sentire la Scuola “pulsare”, percepirla viva e piena di energia, degli studenti e di tutto il personale, animata e nello stesso tempo composta, corretta. La trasformazione del “clima”, credo sia stata per me la più grande vittoria. Mi piace il sorriso degli operatori, la battuta con lo studente, il caffè in un momento di pausa, il lavoro impegnato per raggiungere un obiettivo. Tutti rendiamo di più, se lavoriamo in un contesto sereno e di buone relazioni. Non amo le scuole troppo “ingessate”, apparentemente impeccabili.
Lascio una Scuola che è un riferimento per il territorio sia per la qualità dell’insegnamento sia per l’attenzione agli studenti, nonché per i livelli di apprendimento proposti e raggiunti. Lo riconoscono in molti: questo mi basta e mi rende orgogliosa.

In generale com’è il bilancio della sua vita? Ha realizzato i sogni che aveva da ragazza?
Il bilancio della mia vita è positivo sia sul piano professionale sia su quello personale e familiare.
Alcuni sogni che avevo da ragazza si sono realizzati, altri li sto ancora coltivando. Credo nella forza trainante del “sogno”: ci anima, ci aiuta a guardare avanti. A scuola abbiamo fatto nostra la frase di Roosevelt: “Il futuro appartiene a coloro che credono nella bellezza dei sogni”, frase che è stata riportata sulla t-shirt e sul segnalibro che ho regalato a tutti gli studenti l’ultimo giorno di scuola:

E quali sono i sogni dei giovani di oggi?
Purtroppo spesso molti ragazzi non riescono a elaborare e comunicare un loro progetto di vita, non lo hanno chiaro, sembrano senza speranza; ma, quando trovano un adulto empatico che li tocca nel profondo, si affidano, si aprono, si scoprono e danno il meglio. Posso dire che in questi anni ho conosciuto ragazzi fantastici, alcuni di loro li ho accompagnati come Dirigente dalla Scuola d’Infanzia alla maturità ed oggi sono professionisti affermati e di grande valore. Alcuni sognano di più, altri meno, ma tutti hanno bisogno di sognare e di sentire che valgono.

La Scuola italiana: croce o delizia? Tutti sembrano concordare sul fatto che il sistema vada cambiato, ma di fatto questo non è mai accaduto. Lei cosa salverebbe e cosa cambierebbe?
La Scuola italiana ha una grande tradizione culturale e prepara gli studenti in modo adeguato, anche se bisogna riconoscere che un apprendimento importante viene acquisito dai ragazzi, in modo diretto o indiretto, anche fuori dalla Scuola. La Scuola dovrebbe rivedere il sistema di reclutamento dei docenti. Troppi concorsi riservati, troppe sanatorie. La preparazione di un docente deve essere accertata in modo serio e rigoroso, perché, oltre alle competenze disciplinari – fondamentali per guidare gli studenti – devono essere verificate anche le competenze relazionali e comunicative. La Scuola ha bisogno di docenti preparati ed empatici. Potenzierei le attività di lavoro di gruppo per sviluppare la competenza del lavorare in modo cooperativo, indispensabile per l’inserimento nel mondo del lavoro.

Quale messaggio vuole dare ai docenti? Quale agli studenti? Quale ai genitori?
La Scuola è un bene comune di tutta la società, ha il compito di insegnare le regole del vivere e del convivere: vive della cura di tutti.
Inviterei i docenti a tenere alto il livello di preparazione degli studenti, ma anche a dedicare tempo all’ascolto, per conoscerli meglio, così da poterli scoprire in tutte le loro potenzialità e da poter vivere meglio lo studio e la scoperta delle conoscenze come un viaggio da fare insieme, senza pregiudizi.
Inviterei gli studenti a tenere duro, ad impegnarsi nello studio, con correttezza e costanza, perché questo è un tempo che non ritorna e lo sforzo di oggi sarà compensato da un obiettivo raggiunto domani. Li inviterei a coltivare la speranza, ad essere critici nelle esperienze giovanili, a non essere gregari, a scegliere con la loro testa e a condurre una vita sana e ricca di scoperte, senza ricorrere ad alcool o droghe per sentirsi vivi.
Inviterei i genitori a essere più presenti e vicini ai loro figli, per prevenire o rimuovere le situazioni di rischio. Li inviterei ad essere modelli credibili e ad accompagnare i ragazzi nelle loro scelte, rispettandoli. Spesso registriamo ragazzi che si iscrivono o rimangono al Liceo per volontà dei genitori, ma che soffrono molto. Inviterei i genitori ad essere pazienti e a rispettare i figli nelle loro scelte, anche se non sono in linea con le loro aspettative.

Cosa farà da oggi in poi?
Settembre è arrivato e ancora devo elaborare la mia nuova condizione di pensionata, con il conseguente distacco dalla Scuola. Vorrei dedicare un po’ più di tempo a me e alla mia famiglia, gustare la lentezza di giornate tutte da inventare, senza mai dimenticare che il gusto della vita sta nella costruzione di orizzonti di senso. A quelli non rinuncerò mai. In questi orizzonti, già da ora, comincio a intravvedere un impegno a favore degli altri, in particolare, dei bambini. Vedremo.

 

Carletta Di Blasio: