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Tra poco la prima campanella, buoni maestri si, maestri buoni no?

Di Silvia Rosetti

Il suono della prima campanella di settembre incombe e cresce la tensione tra studenti, genitori e personale scolastico. C’è chi freme nell’attesa, soprattutto le famiglie che durante l’estate hanno avvertito fortemente la mancanza della scuola. E chi, potendolo fare, se la prenderebbe un po’ più comoda, perché l’inizio delle lezioni scandisce giornate dense di impegni e di ansie.

Nel frattempo diventa sempre più complesso nel panorama attuale il ruolo dell’istituzione scolastica e di chi vi presta servizio. Sempre più impegnativo discernere il cammino educativo dei nostri giovani in un contesto sociale fuorviante e alquanto confuso.

Che ruolo ha oggi la scuola nell’immaginario collettivo? Che funzione le viene attribuita dalle istituzioni, dalla politica e dalla società?

Nelle ultime settimane si è gridato a gran voce che la pausa estiva tra la fine e l’inizio del nuovo anno scolastico è troppo lunga, un tempo infinito che penalizza le famiglia e attribuisce “privilegio” a chi invece ne beneficia.

La questione è senz’altro da sviscerare, ma senza ignorarne la sua complessità. In primo luogo occorre considerare l’inadeguatezza degli edifici ad accogliere alunni e personale scolastico durante i mesi più caldi: le aule nella maggior dei casi registrano infatti temperature insostenibili e neppure gli spazi ricreativi, sia interni che esterni, sono in grado di offrire ristoro alla calura.

D’altro canto non possiamo certamente dimenticare che è stata proprio la crescita della società industriale a determinare l’avvio negli anni Sessanta delle “attività integrative pomeridiane”, poi evolute nel tempo pieno circa un decennio dopo. Lo scopo era anche aiutare le famiglie a collocare in un ambiente sano e formativo i propri figli durante l’orario di lavoro. Ma il ruolo della scuola non può essere puramente assistenziale o di supporto. Una società che abbia concrete ambizioni per il futuro dei propri giovani e considerazione per la loro crescita dovrebbe coltivare una progettualità più ampia e articolata riguardo l’istruzione, che è il fondamento dell’autodeterminazione e libertà dell’individuo.

Il male della scuola, comunque, non è rintracciabile soltanto nell’inadeguata considerazione di cui è oggetto. Il problema più evidente è la fatica che fa a tenere il passo dei tempi e a rinnovarsi. Abbiamo assistito a reiterati tentativi di mettere delle “pezze” a un sistema che andrebbe rivisitato da cima a fondo e che non è ancora riuscito a compiere il salto di qualità, ovvero passare dall’approccio meramente valutativo a quello realmente formativo.

C’è tanto bisogno di buoni maestri. I contenuti sono ovunque ormai, facili da reperire, la rete ne straborda. Languono invece il carisma dei divulgatori, i necessari doni della comunicazione empatica e dell’ascolto attivo. L’apprendimento è un processo articolato e, per non scadere nel mero nozionismo, ha bisogno di nutrirsi di pensiero critico, riflessione etica e respiro umanistico-pedagogico. In una società sempre più avvezza ai tecnicismi e industrializzata, l’esercizio della coscienza trova invece sempre meno spazio.

Attenzione però: i buoni maestri non hanno nulla a che fare con i maestri buoni. Il buonismo, o lassismo, di cui sovente è accusata la scuola è il primo sabotatore dei percorsi di crescita dei ragazzi.

I buoni maestri sono quelli che vivono e operano nel presente, mantenendo però saldo nel cuore e nella mente il patrimonio del passato. Chi riesce in questa straordinaria acrobazia, sarà in grado senz’altro di motivare e orientare il cammino dei propri allievi sugli impervi sentieri di questa “società a rischio”, educandoli alla cittadinanza responsabile e attiva, orientandoli su comportamenti etici, all’interno di coordinate “valoriali” comuni e soprattutto appassionandoli alle discipline scolastiche. Soltanto i buoni maestri sapranno poi affrontare e ammansire il “demone” della tecnologia, che fa parte del nostro percorso evolutivo e non può essere ignorato.

Prima di intraprendere la navigazione, dunque, proviamo a gettare lo sguardo all’orizzonte con fiducia e speranza, troviamo il modo di rinnovare le nostre strategie e immaginiamo progetti che sappiano sconfinare oltre la paura del futuro.

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