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Venezia81: un mosaico di umanità fragile e resiliente

(Foto Asac)

Di Sergio Perugini

Giù il sipario dell’81ª Mostra del Cinema della Biennale di Venezia, con la vittoria del Leone d’oro di “The Room Next Door” (“La stanza accanto”) di Pedro Almodóvar, nelle sale dal 5 dicembre con Warner Bros. Soddisfazione anche per il cinema italiano: dei cinque titoli in gara, si è imposto “Vermiglio” di Maura Delpero, Leone d’argento – Gran premio della giuria. Al di là però del valzer finale di riconoscimenti, è giusto chiedersi cosa resta di questa Mostra.Quale messaggio affida alla nostra società questo variegato mosaico di opere e suggestioni?

Scandagliando i 21 titoli della selezione ufficiale, ma anche qua e là le altre sezioni, risulta evidente come la chiave tematica dominante sia l’umanità. Una carrellata di racconti, giocati tra realtà e finzione, attenti però a cogliere e declinare la dimensione dell’umano, tra tormenti, paure, sentimenti e desiderio di riscatto.Un’umanità desiderosa di uscire dall’angolo buio della solitudine e di sentirsi ascoltata, compresa.Lo abbiamo colto sin dall’apertura di Venezia81. È il messaggio, infatti, che ci ha affidato lo splendido “Nonostante” (in Orizzonti) di e con Valerio Mastandrea: la condizione di chi vive la malattia, assalito dalla paura di non voler andare via da solo. Un’opera che si interfaccia con l’inevitabile presenza della morte, che commuove e conquista per l’inaspettata (ri)scoperta dell’amore. E a ben vedere, anche nella commedia nera di Tim Burton, “Beetlejuice Beetlejuice”, entra a gamba tesa la morte, il timore che separi e impedisca ai legami di ritrovarsi.

La paura di essere soli abita inoltre il film di Gianni Amelio, “Campo di battaglia”, racconto della Grande guerra tra i padiglioni di un ospedale, dove trovano riparo giovani soldati mutilati senza futuro. Amelio compone un canto dolente contro la brutalità dei conflitti, che registra lo struggimento di quanti hanno visto da vicino il male, la vertigine della morte, e si aggrappano alla vita in cerca di una traccia di tenerezza, di una luce di speranza.

La solitudine spaventa proprio tutti, anche l’antieroe Arthur Flack, protagonista di “Joker: Folie à deux” di Todd Phillips. Nel primo, dirompente, “Joker” – Leone d’oro nel 2019 – Arthur, sentendosi rifiutato e umiliato dalla società, sceglieva di abbandonarsi alla violenza con una carica di disperante ribellione. In questo secondo capitolo, l’uomo compie un percorso inverso: desidera togliersi la maschera di Joker per tornare a essere se stesso, anche se ultimo e fragile, ma comunque se stesso. Una scelta compiuta grazie all’incontro con l’amore: per la prima volta si percepisce visto, desiderato da qualcuno.L’amore apre a desideri di cambiamento, di rinnovamento.

E ancora, solitudine e paura sono i comprimari di “The Room Next Door” di Almodóvar. Nel film, interpretato con singolare bravura da Tilda Swinton e Julianne Moore, troviamo una giornalista newyorkese, Martha, segnata dalla condanna di un tumore incurabile; frustrata dal dover combattere tale battaglia, lei che di guerre come corrispondente ne ha viste tante, forse troppe, pensa solo a farla finita prima di sentirsi vinta dalla malattia, privata della dignità. Il tema è scivoloso, problematico e divisivo. C’è però un aspetto da sottolineare, che commuove: la donna non vuole affrontare quell’ultimo viaggio da sola; è spaventata dall’idea di lasciarsi andar via senza nessuno accanto. Così chiede all’amica di vecchia data, Ingrid, di farle compagnia, di trasferirsi nella casa che ha preso in affitto fuori città, andando a occupare proprio “la stanza accanto” alla sua. Lì emerge il ritratto di un’umanità fragile, bisognosa di calore e prossimità.

Lo smarrimento nella paura, tra senso di inadeguatezza e timore di non saper affrontare una prova troppo grande, accomuna numerosi altri film del cartellone.Dal bellissimo “Vermiglio” della Delpero, che con i toni dolci e malinconici della poesia contadina (debitrice del cinema di Ermanno Olmi) offre un ritratto di una giovane madre sopraffatta dal dolore e dal timore del futuro, all’elegante “Maria” del regista cileno Pablo Larraín, omaggio a Maria Callas a pochi giorni dalla morte, chiusa in un bozzolo di ricordi, dolori e fragilità. E ancora, lascia un segno l’istantanea contemporanea di un vedovo (l’ottimo Vincent Lindon, Coppa Volpi), assalito da apprensioni, che si batte con coraggio per salvare il figlio dai demoni della xenofobia, dalle sirene seducenti di rigurgiti neonazisti, nel film “The Quiet Son” (“Jouer Avec Le Feu) delle sorelle Delphine e Muriel Coulin.

Scatena emozioni vibranti e lacrime generose “I’m Still Here” (“Ainda estou aqui”, Premio Signis 2024) di Walter Salles, la drammatica storia vera di una famiglia mutilata dalla brutalità del regime militare nel Brasile degli anni ‘70. Nel racconto si impone la vicenda esemplare di una donna, Eunice Paiva (Fernanda Torres, magnifica!), che lotta a viso aperto per la verità, per conoscere la sorte di suo marito Rubens, scomparso dopo un arresto, e di tanti altri desaparecidos, per avere un corpo cui dare degna sepoltura.Una donna che sperimenta, per decenni, dolore e solitudine, che non si lascia però soggiogare da tali sentimenti: li trasforma in energia,per portare avanti la sua battaglia, per farsi simbolo di tutte le mogli e le madri in attesa di risposte. Eunice Paiva continua a riporre fiducia nella legge, nei valori della democrazia.

Questi sono solo alcuni frammenti incastonati nel mosaico dell’81a Mostra del Cinema, che ora si preparano a brillare, con tutta la gamma di colori, compresi i chiaroscuri, nelle settimane o nei mesi a venire nel circuito delle sale italiane.Sguardi intensi e poetici, che meritano di essere abitati, accolti e approfonditi in tutta la loro complessità. Umanità.

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