Di Mauro Monti
Fino al 28 a Seoul si svolgerà la 19ª edizione della Homeless World Cup nella quale il Cile, campione in carica, proverà a difendere il titolo vinto l’anno scorso a Sacramento.
Questa competizione è l’esempio di come il calcio possa unire le persone, sfidare i pregiudizi e migliorare la vita dei protagonisti. Invisibili e scartati riescono grazie allo sport a rialzarsi e dare un senso alla propria vita; è un’occasione di rinascita.
Inizia tutto nel 2001, durante l’International Network of Street Papers Conference di Città del Capo: Mel Young cofondatore della Big Issue Scotland e Harold Schmied, editore della Megaphon, ebbero l’idea di avviare un progetto di condivisione in grado di abbattere le barriere e pensarono subito al calcio.
Dal progetto alla realizzazione passarono appena 18 mesi: la prima edizione della Homeless Word Cup si svolse a Graz, in Austria, nel 2003. Il successo della manifestazione spinse gli ideatori a proseguire nel loro cammino che a Seoul registra l’edizione numero diciannove.
Le regole del torneo sono particolari: si gioca in 3 più il portiere, le sostituzioni disponibili sono 4 durante ogni partita che dura 14 minuti in un campo che è la metà di quello da calcetto (22 metri per 16). La squadra che vince si aggiudica 3 punti, i perdenti 0 e in caso di pareggio si va ai calci di rigore. C’è una regola che è presente anche nel motto del torneo: “si attacca in tre e ci si difende in due”. Tutti i giocatori sono dunque di movimento e devono sempre seguire l’attacco della propria squadra nella metà campo offensiva. Quando si deve difendere, invece, a un solo giocatore è permesso di restare oltre il centrocampo.
L’Italia è presente nell’albo d’oro con due vittorie: a Göteborg 2004 ed Edimburgo 2005. La Nazionale più titolata è quella del Messico con 4 trionfi, seguita dal Brasile a quota 3.
Dal 2008 si svolge anche l’edizione femminile del torneo, dominata dal Messico che ha vinto 8 edizioni su 12 e ininterrottamente dal 2015 al 2023.
A Parigi la Homeless World Cup Foundation ha firmato un memorandum d’intesa con la FIFA che metterà a disposizione dei partecipanti materiali e attrezzature e trasmetterà i prossimi tornei a partire da Seoul, dove scenderanno in campo oltre 500 giocatori provenienti da 49 paesi di tutto il mondo.
Non è una questione di coppe e vittorie, o meglio, le vittorie sono di altro tipo, sono conquiste sociali, il riappropriarsi della propria identità, il riuscire a riemergere.
La Homeless World Cup è una manifestazione fondata su
partecipazione e coinvolgimento, principi di assoluta importanza per chi è senza fissa dimora, richiedente asilo o in riabilitazione da dipendenze. Persone che vivono, in aggiunta a queste condizioni, anche l’isolamento e il senso di esclusione. Il calcio aiuta ad affrontare questi problemi e la squadra è il luogo in cui si creano relazioni e nella quale ci si sente parte di qualcosa.
Le statistiche dicono che dopo aver disputato questo torneo l’80% degli atleti riesce a cambiare la propria vita, per sempre.
In Italia tutto nacque dal progetto L’Approdo con il compianto Emiliano Mondonico per proseguire poi con la creazione di una Nazionale solidale che ha il compito di selezionare i calciatori per la Coppa del mondo.
La Homeless World Cup ha un impatto decisivo sulla vita stessa dei partecipanti. Il 71% di questi ha continuato a giocare a calcio anche dopo e l’83% ha dichiarato di aver ricucito i rapporti con famiglia e amici. Ma questa manifestazione, oggi ancora di più con il memorandum d’intesa firmato con la Fifa, contribuisce anche a sensibilizzare l’opinione pubblica, illuminando con la sua visibilità storie che quotidianamente nascondiamo alla nostra vista.
Si finisce in strada per mille motivi, anche per scelta, ma non si può passare per invisibili, inutili, scartati. La casa più grande, che raccoglie anche quelli che vivono sotto un tetto sicuro, è la nostra società e la viviamo insieme.
Occasioni come quella della Homeless World Cup ci ricordano che ogni storia ha dignità e merita i riflettori; ognuno di noi con la sua attenzione e il suo aiuto può fare la differenza, offrendo una mano ma anche solo semplicemente posando il suo sguardo negli occhi di chi vive ai margini.
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