Di Peppe Magri, pubblicato su Popoli e Missioni
La figura del diacono è legata alle più autentiche origini della Chiesa, alle prime comunità cristiane nelle quali i diaconi prestavano il loro servizio missionario di evangelizzazione a fianco degli apostoli, seguendo in particolare le opere caritative a sostegno delle comunità. Non si tratta, quindi, di una funzione sacerdotale, ma, quello del diacono permanente, è essenzialmente un ministero: a servizio del Vangelo nella dimensione missionaria, a servizio della carità e a servizio della liturgia e della pastorale. Secondo quanto disposto dagli stessi apostoli, i primi diaconi sono scelti dalle comunità cristiane che ne riconoscono le qualità di «uomini di buona reputazione, pieni di Spirito e di sapienza» (At 6,3-4), per poter fare fronte alle necessità materiali di quanti si accostano alla vita della comunità.
Partiamo da questa semplice descrizione introduttiva del ruolo del diacono nella Chiesa, tralasciando le questioni storiche, teologiche e dottrinali che nei secoli ne hanno definito l’identità ministeriale (e di genere!), per arrivare ai giorni nostri in cui il Diaconato è riconosciuto come “grado permanente del ministero ordinato”, sia per celibi che per sposati. Solo a partire dalle disposizioni del Concilio Ecumenico Vaticano II (L.G. n. 29) ha preso avvio la “restaurazione” del diaconato permanente nella Chiesa d’Occidente e quindi anche in Italia, dopo circa dieci secoli di eclissamento, quando il diaconato era solo una tappa intermedia verso il traguardo del sacerdozio (mentre era rimasto attivo nelle Chiese Orientali).
Nell’odierno contesto missionario il diacono sembra, però, essere la cenerentola tra i diversi protagonisti della missione ad gentes, sebbene il suo ministero si fondi proprio sulla dimensione missionaria del servizio al Vangelo. Esistono fattori storici, tradizioni e sensibilità religiose particolari, che caratterizzano le singole Chiese, specialmente quelle più giovani (in Africa come in Asia), e che non prevedono all’interno della propria organizzazione pastorale l’apporto dei diaconi permanenti. D’altra parte, bisogna anche ammettere che attualmente la cooperazione missionaria della Chiesa italiana propone specifiche Convenzioni solo per presbiteri e laici, implicitamente escludendo, o eludendo la possibilità di inviare diaconi permanenti, i quali, peraltro, non sono certo una schiera scalpitante in attesa di partire per la missione.
Emblematica di questa “dimenticanza” istituzionale è l’esperienza missionaria che sta vivendo il diacono Umberto Silenzi, diacono permanente della Diocesi di San Benedetto del Tronto, sposato, padre e nonno, per molti anni Direttore della Caritas diocesana, impegnato nell’assistenza e accompagnamento delle persone più svantaggiate e marginalizzate, di qualsiasi provenienza, per le quali ha realizzato, tra le molte altre iniziative, un’efficiente mensa per i poveri e un centro sanitario con presidio medico chirurgico e odontoiatrico. Sempre per conto della Caritas, ha seguito vari micro-progetti in diversi paesi in via di sviluppo, in particolare Filippine e Angola, e ancora oggi, dopo il pensionamento dall’attività artigianale da cui traeva il necessario per la propria famiglia senza gravare sulle casse della Diocesi, segue personalmente sul posto, con la stessa passione e costanza che hanno contraddistinto il suo operato nei molti anni alla guida della Caritas diocesana (immortalati anche da un video prodotto dalla Cei per promuovere l’8xmille), una serie di attività socio-pastorali del Vicariato apostolico di Puerto Princesa, isola di Palawan, nelle Filippine. Il suo è un lavoro con le tipiche caratteristiche della missione che cammina sulle due gambe della evangelizzazione e della promozione umana, sebbene il diacono permanente Umberto guidi le comunità cristiane a lui affidate senza aver ottenuto il rilascio della “patente” di missionario fidei donum.
Ma Umberto, con il convinto sostegno del proprio vescovo che ha risposto positivamente alla richiesta del suo servizio da parte del vescovo di Puetro Princesa, continua senza remore istituzionali o formali, come fidei donum “de facto” – accollandosi, tra gli altri, i costi dei viaggi e dell’assicurazione sanitaria -, nel suo lavoro missionario a sostegno di molte comunità rurali in cui sperimenta quotidianamente i valori della solidarietà e della condivisione con i più poveri. «Qui la gente mi chiama “deacon” – diacono – Umberto, come da subito voluto dal vescovo stesso, anche se nella Chiesa delle Filippine non esiste la figura del Diacono Permanente, ma dovunque vado ne apprezzano il carisma», afferma Umberto, che auspica, quindi: «non tanto per il mio caso personale, ma per l’intera “categoria” dei diaconi permanenti inviati in missione, è importante il riconoscimento formale come fidei donum, per evitare l’assurdo perpetuarsi dell’idea che Diacono permanente significhi “sostituto del prete” e non, invece, ordinato per il servizio alla carità», con le caratteristiche che contraddistinguono la specificità dei ministeri e dei carismi nell’universalità della Chiesa.