Patrizia Caiffa
“In Sudan è in corso una delle peggiori crisi umanitarie al mondo. Un conflitto che colpisce soprattutto i civili, nel totale disprezzo del diritto umanitario. Oltre ai bombardamenti, alle stragi, alle violenze sessuali, la gente sta morendo di fame e di colera. Eppure non se ne parla e gli aiuti umanitari sono costantemente sotto finanziati”. Fabrizio Cavalletti, coordinatore dei programmi in Africa di Caritas Italiana, è appena tornato dal Sud Sudan, dove si accalcano almeno mezzo milioni di profughi in fuga dal conflitto in Sudan. In totale sono 10 milioni gli sfollati, di cui 2 milioni nei Paesi limitrofi, soprattutto in Ciad e Sud Sudan. Oltre 25,6 milioni di persone hanno bisogno di aiuti umanitari. Le stime dei morti vanno da 20.000 (secondo l’Oms) a 150.000 secondo gli Stati Uniti.
Il Sudan è scosso da una guerra civile cruenta iniziata il 15 aprile 2023. Un conflitto che contrappone l’esercito regolare Sudanese armed forces (Saf) alle Rapid support forces (Rsf), eredi delle famigerate milizie janjaweed che massacrarono i civili in Darfur nel 2003. Il Paese è praticamente diviso in tre parti: le Saf controllano gran parte del corso del Nilo e la costa del mar Rosso con il porto di Port Sudan, dove partono le navi cariche di petrolio dal Sud Sudan. Alcuni Stati del Sud-Ovest e gran parte del Darfur sono in mano alle Rsf, mentre in altre zone del Paese imperversano varie forze ribelli. Tutti interessati al controllo dei traffici navali, delle acque del bacino del Nilo, delle miniere di oro, dei giacimenti di petrolio e altre risorse.
“Pulizia etnica e crimini contro l’umanità”. I report delle organizzazioni umanitarie denunciano una “pulizia etnica e crimini contro l’umanità” compiuta dalle Rsf soprattutto nel West Darfur. Negli ultimi giorni di settembre i paramilitari delle Rsf hanno ucciso 18 persone durante un attacco al mercato della città di El-Fasher, capitale del Darfur settentrionale. A metà settembre c’è stata un’altra strage con 40 morti in un villaggio nello Stato di Gezira, nel Sudan centrale. L’Unicef ha denunciato pochi giorni fa almeno 30 bambini uccisi o feriti da bombardamenti nella città di Sennar, probabilmente delle Saf. E non sono ancora chiare le circostanze di un presunto attacco aereo contro l’ambasciata degli Emirati Arabi a Khartoum il 30 settembre. Il segretario generale dell’Onu Antonio Guterres pochi giorni prima si era detto “preoccupato per l’escalation”.
Le donne sono spesso vittime di stupri, i villaggi bruciati e saccheggiati. Molte donne sono state rapite e costrette a matrimoni forzati e alla schiavitù sessuale e domestica. Gli stessi operatori sanitari subiscono attacchi e violenze da entrambi gli eserciti, che oltre tutto impediscono l’arrivo degli aiuti umanitari alla popolazione.
Caritas italiana sta intervenendo nell’ambito di una rete internazionale delle Caritas, in collaborazione con Act alliance, network umanitario legato al mondo protestante. Il budget complessivo del programma di assistenza agli sfollati è di 2 milioni di euro, “ma finora è stato finanziato solo al 30%”, precisa Cavalletti.
Caritas italiana ha lanciato un appello e una raccolta fondi ad aprile e finora è riuscita a destinare 300.000 euro.
“Il programma prevede aiuti agli sfollati e alle comunità con sussidi in denaro laddove c’è ancora accesso al sistema bancario – spiega -. Forniamo acqua, materiali igienici e c’è l’intenzione di riabilitare le fonti d’acqua e realizzare lavabi e latrine. Poi è prevista la creazione di luoghi per la protezione di donne e minori e per chi ha subito violenze, anche per segnalare abusi”.
Finora sono state raggiunte 1.500 famiglie ma l’obiettivo è 3.000.
Gli interventi sono realizzati in vari Stati del Sudan, tra cui Nord Darfur, Nord Kordofan, Gedaref, River nile, Nilo Bianco e in piccola parte nella capitale Khartoum, che è in mano alle Rsf. La maggior parte delle organizzazioni umanitarie si sono trasferite infatti a Port Sudan per portare avanti le operazioni, tra mille difficoltà: “Oltre al problema dell’insicurezza e dei blocchi agli aiuti da parte dei contendenti, c’è anche l’ostacolo di una burocrazia farraginosa”.
“Anche se è una lotta di potere tra generali per il controllo del territorio e delle risorse – osserva Cavalletti – nel Darfur si stanno ripetendo episodi di violenze gravissime a sfondo etnico. Le Rsf sono gli eredi delle milizie assoldate nel 2003 per compiere la pulizia etnica. Anche se non se ne parla, ricordiamo che l’Europa, Italia compresa, nel 2016 hanno firmato e finanziato l’accordo di Khartoum con l’ex presidente Omar al Bashir (accusato dalla Corte penale internazionale di genocidio e crimini contro l’umanità in Darfur del 2003, ndr), per contrastare i flussi migratori. Quindi
ci sono anche responsabilità esterne”.
E nonostante l’Onu abbia rinnovato a metà settembre le sanzioni su chi è ritenuto responsabile della guerra civile, tra cui la limitazione del movimento di armi, “qualcuno sta continuando a rifornirli di armi”, fa notare Cavalletti. Un dubbio confermato da un recente rapporto di Human rights watch che presenta le prove di armi e attrezzature militari di fabbricazione straniera acquistate dalle Fas e dalle Rsf.
“Sembra che da parte della comunità internazionale non ci sia una volontà condivisa di far cessare il conflitto né di finanziare gli aiuti umanitari”.